Report: Metal Maniac Night – DiAnno e altri (Bologna, 14/5/06)

Di Redazione - 27 Maggio 2006 - 14:14
Report: Metal Maniac Night – DiAnno e altri (Bologna, 14/5/06)

Prima candelina per Metal Maniacs, che coglie l’occasione per festeggiare il suo primo anno di attività in quel dell’Estragon live di Bologna – per l’occasione molto disorganizzato, con prezzi che non risultano essere quelli presenti in sede di promozione e lista accrediti totalmente annullata.

Battle Ram
(Federico ‘Immanitas’ Mahmoud)

A inaugurare i festeggiamenti, per la verità rimandati da un’atmosfera tiepida e un Estragon ancora semi-vuoto, tocca ai Battle Ram. Astro nascente nel firmamento underground tricolore, la formazione picena allestisce un breve set a base di pezzi propri e un paio di cover (la clamorosa In The Fallout, targata Fifth Angel, e Speed King) che hanno il merito di scuotere le prime file, beneficiando di suoni positivi sin dalle note iniziali. La band sciorina con classe il solito concentrato di heavy metal epico e maestoso, che ha nelle potenti Behind The Mask (direttamente dal debutto dei Nostri, di prossima uscita) e Battering Ram, autentico manifesto del Battle Ram sound, le più riuscite incarnazioni; l’efficacia dei brani nasce anche, e soprattutto, dalla palpabile intesa che lega i vari componenti, in giro ormai da un lustro e dotati di quella malizia che contraddistingue solo le line-up più affiatate: è con questo spirito che si mette in mostra la chitarra di Gianluca Silvi – apprezzabile non soltanto quando si tratta di organizzare concerti (puntualmente ignorati) – nel granitico tandem completato da Davide Natali. Nonostante uno show contenuto e seguito distrattamente dai presenti, il quintetto di Ascoli Piceno ha ribadito con sicurezza le proprie ragioni, mostrandosi ormai pronto per il tanto agognato esordio sulla lunga distanza. Le premesse non sono certo quelle di un best-seller, ma un posto nel cuore dei fedeli appassionati è riservato da un pezzo!

Markonee
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Sin dalla “prima volta” ho sempre avuto una certa stima per i Markonee, band capace di mischiare con bravura il sentimento sbarazzino dello street/glam a stelle e strisce con un hard rock che ha sempre e comunque affondato le radici in un background di classe. Il concerto si apre proprio con una cover di gran classe – o di “Grand classe” come l’ha definita in modo azzeccato il buon Federico – ovvero niente di meno che una We’re an American Band dei Grand Funk Railroad. Da lì è tutto in discesa per il combo bolognese, che coglie l’occasione per presentare diversi pezzi dal proprio disco di debutto, da poco disponibile. Dunque avanti a tutta con i brani di The Spirit of Radio (no, i Rush non c’entrano) tra coretti spensierati alla “Fat Bottomed Girl” a brani più energici. A tirare la band, come nella miglior tradizione rock, è l’accoppiata chitarra-voce, che nei Markonee unisce le doti canore di Gurio alle sei corde di Pera, ormai diventato una sorta di guitar-hero della scena bolognese. Vivaci sul palco, puliti nelle esecuzioni e con una certa dose di carisma, i Markonee danno vita a uno show davvero piacevolissimo. Rock’n’roll!

 

Rain
(Federico ‘Immanitas’ Mahmoud)

Quando salgono sul palco i Rain, piccoli grandi eroi della scena bolognese e spalla ormai fedele di Paul Di’ Anno, l’atmosfera comincia a surriscaldarsi seriamente. Inutile dire che il ruolo di headliner, complice la toccata e fuga dell’ex-Maiden e il supporto incondizionato del pubblico di casa, spetti virtualmente al combo felsineo. I Nostri rispondono al calore degli astanti con una prestazione che ha nell’energia e nella passione le sue più apprezzate doti, puntualmente ribadite per l’occasione: è su questa base che poggia la scaletta della serata, divisa tra pezzi nuovi (Dad Is Dead e Mr. 2 Words, gustoso antipasto in attesa del seguito di Headshaker) e classici del repertorio, che riconoscono nella dimensione live il loro habitat naturale. Pezzi come la micidiale Blood Sport, Heavy Metal, Viking, Fight For the Power (direttamente dagli Ottanta) e l’anthemica Only For The Rain Crew rappresentano quanto di meglio si possa desiderare da un concerto, tra ritornelli esaltanti, scorribande a metà tra heavy metal e rock & roll e litri di sudore profuso; proprio nell’attitudine genuina e tipicamente figlia dell’Emilia (che ha dato i natali a tanti rocker) i Rain trovano la marcia in più per coinvolgere anche lo spettatore più distratto, inscenando uno spettacolo ad alta gradazione alcolica che ha in Alessio ‘Amos’ Amorati (chitarra) e Gianni ‘Gino’ Zenari (basso) gli assoluti protagonisti. In primo piano anche l’ugola halfordiana di Alessandro ‘Tronco’ Tronconi, le cui indiscutibili doti non sono più una sorpresa, ma una certezza di cui si può difficilmente fare a meno. Che altro aggiungere? I Rain non perdono occasione per assestare l’ennesimo colpo vincente, meritando sul campo l’affetto e la stima di chi li segue così tenacemente un po’ in tutto il Paese. Il resto sono chiacchiere.

Children of the Damned
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini)

Forse sono un patetico sentimentale di un certo modo di intendere la musica, ma vedere una cover band suonare dopo ragazzi come Rain, Markonee e Battle Ram, gente che mette sudore e passione nel tentativo di portare avanti una propria personalità musicale… bhè, mi mette una certa tristezza. I Children of the Damned saranno pure bravi a fare quello che fanno, molto bravi, nessuno lo mette in dubbio, ma l’idea che cercare di emulare una band strafamosa in tutto e per tutto possa valere più della farina che altri ragazzi hanno faticosamente tirato fuori dal proprio sacco con anni di gavetta mi ripugna abbastanza. Il music business, anche nel piccolo di queste serate, purtroppo funziona così, e finché la mentalità dominante sarà questa, e il pubblico preferirà l’ennesima Fear of the Dark o l’ennesima The Trooper piuttosto che sentirsi una band che punta sulle proprie idee, le cose andranno sempre in questo modo. Come già accennato la scaletta è delle più canoniche, nessuna sorpresa e nessun tipo di stimolo se non quello di risentire per l’ennesima volta pezzi che credo chiunque segua il metal da più di qualche mese ormai si trova ovunque e in ogni salsa. I Children of the Damned sono tra i migliori in questo tipo di proposta, questo è fuori discussione, ma a parere di chi scrive, in questa serata il supporto andava riservato ad altri.

Setlist: The Wicker Man / Can I PlayWith Madness / The Trooper / Fear of the Dark / Halloweed Be Thy Name / Run to the Hills.

Paul DiAnno
(Alessandro ‘Zac’ Zaccarini, Federico ‘Immanitas’ Mahmoud)

L’esibizione di Di’Anno entrerà probabilmente negli annali come la più breve mai tenuta da un headliner: mezz’oretta o poco più. Chiariamo, mezz’oretta o poco più che è comunque bastata a farci riabbracciare quegli Iron Maiden che ormai sembrano sempre più destinati al dimenticatoio delle nuove e vecchie generazioni, ma sono sempre e comunque 30 minutini. La forma è imparagonabile a quella di venti anni or sono: tra abusi di ogni tipo è difficile mantenere una forma fisica decorosa e tutelare il proprio talento canoro. In ogni caso le scelte di Paul sono state queste e indietro non si può tornare.

L’ossatura dei Children of the Damned rimane, salvo il cambio dietro al microfono e l’innesto di un chitarrista di fiducia di Paul, e si può partire. Si inizia con un’accoppiata da pelle d’oca, due vecchie glorie che formano un ormai consolidato abbinamento di routine nelle aperture delle esibizioni di Paul: Wrathchild e Prowler. Da lì sono solo Iron Maiden e Killers, con una scappatella nella piuttosto opaca carriera solista di Paul (The Beast Arise) e un tributo finale ai grandi Ramones, formazione che DiAnno evoca come la sua preferita di sempre e “la più grande band di tutti i tempi nella storia della musica”. L’ex frontman della Vergine di Ferro ostenta le sue radici punk più volte, riserva parole non proprio simpatiche per la scena hard rock e metal (ehm, Paul, sarebbe un concerto metal questo…) ma il pubblico o non capisce o sembra disposto a passarci sopra… A conti fatti forse è meno disposto a passare sopra all’aver dovuto fare chilometri e aver sborsato per vedere uno show di mezzora. Serata senza dubbio salvata dalle prime tre band, gruppi di cui l’Italia dovrebbe cominciare a essere orgogliosa.

Setlist: Wrathchild / Prowler / Killers / The Beast Arise / Phantom of the Opera / Running Free / Blitzkrieg Bop