Recensione: 1989 [Reissue]

Di Massimo Ecchili - 7 Giugno 2011 - 0:00
1989 [Reissue]
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Anno: 2011
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Contemporaneamente alla spolverata a So Much To Say di George & G., ecco arrivare un’altra gradita reissue da parte della Avenue Of Allies. In questa occasione si tratta di 1989 del supergruppo King Of Hearts, disco che gli amanti del genere AOR conosceranno già bene; questa è un’ottima occasione, sia per tutti coloro che all’epoca se lo sono lasciati sfuggire, sia per chi al tempo non era ancora nell’età della ragione, di scoprire questo splendido lavoro.
La band, come racconta lo stesso chitarrista Bruce Gaitsch (Chicago), nacque per caso quando Alan Kovac (al tempo manager di Richard Marx) gli chiese se fosse interessato a mettere in piedi un gruppo per supportare il nuovo tour dei Poco. Al progetto si unirono, in vario modo, Kelly Keagy (Night Ranger), George Hawkins Jr. (Kenny Loggins, John Fogerty) e Tommy Funderburk (Airplay, Boston, The Front). In tempi relativamente brevi (un anno, più o meno) il disco venne scritto e registrato, con missaggio e produzione curati da David Cole (già al lavoro con Bob Seger, Richard Marx e Jamie Kyle). Quando tutto sembrava filare liscio, arrivarono alcuni problemi tra la band ed il management a convincere Alan Kovac ad abbandonare tutto. Il disco non vide la luce e i vari membri della band tornarono a dedicarsi ai propri gruppi e progetti; solamente in seguito, con dieci anni di ritardo, 1989 venne pubblicato, ma solo per il mercato giapponese.

Detto della storia travagliata di questo disco, resta da capire quanto sia ingiusto che esso sia rimasto in un cassetto per ventidue anni (dieci, come già ricordato, per il Sol Levante). Ingiusto, già, perchè 1989 è manna dal cielo per qualunque amante di rock melodico: la dimostrazione arriva dal terzetto di meraviglie piazzato in apertura: dalla splendida Working Man, con un refrain che non ti molla più, alla trascinante In So Many Words, con i suoi cori da manuale, per finire con la ballad amara Don’t Call My Name, fulgido esempio di come si possa comporre una gran canzone anche con una dose massiccia di banalità. In tutte svetta la meravigliosa voce di Tommy Funderburk, ugola da sempre di qualità superiore, corde vocali forgiate per il rock.
Volendo trovare per forza (e maliziosamente) un difetto, potremmo dire che le sonorità sono molto vicine a quelle dei Survivor, ma sarebbe in ogni caso trascurabile se rapportato ai pregi, tali e tanti, di questo 1989.
In Smack Dab (In The Middle Of Love) il microfono passa ad un altro fuoriclasse che risponde al nome di Kelly Keagy, nome che ai più suonerà come garanzia di qualità. Non è da meno la sezione ritmica che lo stesso Keagy forma con George Hawkins Jr., mentre per tutto il disco Gaitsch, come già ricordato ideatore del progetto, continua a sfornare riff, arpeggi e assoli uno migliore dell’altro.
In rapida sequenza ecco giungere, con Funderburk nuovamente alla voce, Remember When, uno dei pezzi non propriamente memorabili, e la bellissima Hold On To Love, che tanto deve aver ispirato (o così sembra) quei giovanotti svedesi di belle speranze che rispondono al nome di H.E.A.T.; davvero difficile immaginare un ritornello più arioso e maledettamente perfetto di questo.
Non brilla invece Under The Gun, pezzo hard rock buono per apprezzare anche la voce di George Hawkins Jr., ma di sicuro non imprescindibile; così come non è indimenticabile la ballad semi-acustica  Lovin’ Arms, un po’ banale senza avere la brillantezza dei pezzi che, volente o nolente, riescono a farti dimenticare il significato del termine “originalità”. Certo, da buttare non c’è niente e, in ogni caso, si parla di canzoni che mal che vada possono tranquillamente essere definite piacevoli.
Was It Good For You ci fa tornare nel paradiso dell’AOR con il suo inizio in stile southern, un Funderburk in forma smagliante e, ancora una volta, i cori giusti al momento giusto. Everyday vede il ritorno di Keagy al microfono, in un pezzo che avrebbe potuto essere la colonna sonora di almeno metà dei film da botteghino a stelle e strisce degli anni ’80, un po’ tamarri e talmente ruffiani da risultare imperdibili.
Infine ecco King Of Hearts, il perfetto epilogo, dolce e cullante come solo in quegli anni riuscivano ad essere queste canzoni.

È strano come la conferma che il rock melodico sia tornato prepotentemente alla ribalta arrivi da un disco che, per una scellerata combinazione di eventi, è rimasto nascosto dai tempi del suo massimo splendore fino ad oggi. Un lavoro che inquadra perfettamente cos’era questo genere musicale, oggi ufficialmente rinato, e che non dovrebbe mancare nella collezione di ogni appassionato di AOR. Sperando che oggi 1989 possa avere la fortuna che gli è stata sottratta all’epoca, gioiamo del ritorno del caro, vecchio rock melodico, con la speranza che questa volta non arrivi nessuna nuova moda a spazzarlo via.

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Tracklist:
01. Working Man 4:45 (lead vocals: Tommy Funderburk)
02. In So Many Words 4:21 (lead vocals: Tommy Funderburk)
03. Don’t Call My Name 4:59 (lead vocals: Tommy Funderburk)
04. Smack Dab (In The Middle Of Love) 4:14 (lead vocals: Kelly Keagy)
05. Remember When 4:58 (lead vocals: Tommy Funderburk)
06. Hold On To Love 4:40 (lead vocals: Tommy Funderburk)
07. Under The Gun 4:16 (lead vocals: George Hawkins Jr.)
08. Lovin’ Arms 4:46 (lead vocals: Tommy Funderburk)
09. Was It Good For You 3:52 (lead vocals: Tommy Funderburk)
10. Everyday 4:22 (lead vocals: Kelly Keagy)
11. King Of Hearts 6:01 (lead vocals: Tommy Funderburk)

Line-up:
Tommy Funderburk: vocals
Kelly Keagy: vocals and drums
George Hawkins Jr.: vocals and bass
Bruce Gaitsch: guitars

Additional musicians:
CJ Vanston: Wurlitzer and synths
Bill Champlin: Hammond B-3
Timothy B. Schmit and Randy Meisner: Backing vocals on “Working Man” and “In So Many Words”

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