Recensione: 30 Years: Live From The Sunset Strip

Di Stefano Burini - 3 Aprile 2013 - 0:01
30 Years: Live From The Sunset Strip
Band: Great White
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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80

Piuttosto curioso, a ben pensarci, vedere una band di lunghissimo corso (l’esordio è datato  addirittura 1983, con un EP prodotto nientemeno che da Don Dokken) e di blasone non indifferente, soprattutto oltreoceano, pubblicare un live album commemorativo del trentennale senza l’apporto della sua voce storica, quella del bizzoso Jack Russell. D’altra parte la storia è fatta di corsi e di ricorsi, oltre che di strani e insospettabili incroci e così, dopo il più che buon “Elation”, per nulla “fuori posto” all’interno della discografia dei Grandi Squali Bianchi nonostante l’ingresso in squadra dell’ex XYZ Terry Ilous, vale la pena di approcciarsi con fiducia all’ascolto del nuovo nato di casa Great White.

Parlando di dischi dal vivo, l’annosa questione è sempre la stessa: l’impossibilità di accontentare tutti i fan di un gruppo dal repertorio così nutrito. Ci sarà sempre qualcuno che si indignerà per la presenza di qualche canzone in favore di qualche altro supposto classico; d’altra parte leggendo i titoli presenti in scaletta (composta da soli undici pezzi, seppur di minutaggio elevato) appare subito evidente come le scelte operate da Kendall e compagnia potrebbero far storcere il naso a molti.

Poche canzoni, nessun brano dall’ultimo album, nemmeno per onore di firma, solo un estratto dal metallico “Shot In The Dark” (peraltro una cover), così come dall’ottimo “Psycho City” e nessun cenno ai pur pregevoli dischi della seconda metà degli anni ’90. La setlist risulta in questo modo incentrata sui tre album più famosi (e venduti) della band californiana (“Once Bitten”, “… Twice Shy” e “Hooked”), dai quali i Great White hanno giustamente estrapolato una buona manciata di superclassici tra cui svettano la sempre mitica “Rock Me”, un must assoluto per i fanatici dell’hard blues, la languida “House Of Broken Love” e la rockeggiante opener “Desert Moon”. La prestazione della band dal lato strumentale è di buonissimo livello e il “nuovo” arrivato Terry Ilous dimostra di sapersela cavare in maniera più che disinvolta sui cavalli di battaglia della band, palesando qualche leggera incertezza solo sull’accorata “Save Your Love”, grande love ballad un tempo regno incontrastato di sua maestà Jack Russell. Le sempreverdi “Lady Red Light”, “Can’t Shake It” e “The Big Goodbye”, così come lo sfavillante hard blues chitarraio di “Mista Bone” (forse il top in scaletta) e il blues rock dimesso di “Back To The Rhythm”, fanno il resto, conducendoci al gran finale riservato al puro rock ‘n’ roll della solare “Once Bitten, Twice Shy”.

Nel complesso un live album di livello medio alto, in parte penalizzato da una scaletta non troppo generosa in termini quantitativi, eppure ricco di motivi di interesse, non ultimo il test “live” della nuova formazione, superato a pieni voti. Qualche canzone in più (“Shot In The Dark”, “Maybe Someday”, “Cryin’”, “Congo Square” e “Heart Of A Man” tanto per citare qualche titolo) e staremmo forse parlando di un piccolo capolavoro; tuttavia, senza recriminare su ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, ci troviamo in ogni caso di fronte ad un altra grande opera targata Great White e per gli appassionati di questa band e di questo sound è solo questo che conta.

Stefano Burini

 

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