Recensione: A Murder of Crows

Di Eugenio Giordano - 10 Agosto 2003 - 0:00
A Murder of Crows
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Anno: 2003
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77

Secondo platter per questa eclettica band prog metal che già dagli esordi ha dimostrato di non appartenere a catalogazioni prestabilite e a generi facilmente etichettabili, a mio modesto parere i Dead Soul Tribe entrano di diritto tra le migliori e più originali formazioni degli ultimi dieci anni. I nostri americani sanno come distinguersi e identificarsi in un genere che oggi appare difficilmente rielaborabile, così come avveniva per gli Psychotic Waltz, Devon Graves che ritroviamo tra le fila di questi musicisti, mente principale nella composizione dei brani e nella direzione artisitca del gruppo. Non basta, alla musica dei Dead Soul Tribe possiamo affiancare una svariata quantità di generi e affini artistici che rientrano solo parzialmente nella categloria del metal inteso in senso stretto, in questo senso i nostri possono essere incoronati come i Pain of Salvation dell’altra sponda dell’Atlantico. Chi di voi ha avuto modo di ascoltare il primo omonimo lavoro di questi ragazzi sarà rimasto perlomeno spiazzato dalla varietà e elaboratezza di soluzioni che i nostri propongono, posso confermare il fatto che questa tendenza è incentivata su questo nuovo “A Murder of Crows” che risulta maggiormente ambizioso e sperimentale sotto questo profilo.

Il cd si presenta con la suite “Feed” divisa in due parti e decisamente consigliata agli amanti delle sonorità più ricercate e originali, a scanso di equivoci qui le chitarre vengono utilizzate in una ottica piuttosto malinconica e introspettiva ricordando i suoni claustrofobici dei Nevermore, senza dimenticare le melodie ma con la presenza di filtri sulle voci. La successiva “The Messenger” rimanda alla prova svolta sul primo cd, anche se qui mi pare che le idee del gruppo vengano messe meglio a fuoco, ancora in risalto un refrain malinconico e disturbante coadiuvato da suoni sperimentali e filtrati sopratutto nella interpretazione vocale, ci troviamo davvero al confine del prog metal. L’apertura mentale del gruppo è indiscutibile alla luce di composizioni elaborate e ambiziose come “In A Garden Made of Stones” che appare come un brano complesso e di difficile presa, non per questo il gruppo scade nella prolissità o nel disordine artistico, chiaramente il brano è consigliato a palati fini. Non ci si allontana dalla portata delle precedenti composizioni nemmeno con “Some Things You Can’t Return ” che già dal titolo dice molto, anche qui il brano si basa su linee melodiche insolite ed eclettiche ma una atmosfera plumbea e impenetrabile sembra alla base del brano, ottimo. Più facile da digerire, ma non meno elegante, “Angels In Vertigo” rompe la difficoltà del disco con un refrain più convincente e maggiormente sottolineato dalla composizione, le chitarre restano estremamente particolari e vibranti tra potenza e sperimentazione. Decisamente Pain of Salvation oriented “Regret” nelle linee melodiche come nella composizione generale, questo brano si candida come uno dei più riusciti all’interno del platter, e certamente non deluderà le aspettative dei più esigenti estimatori del gruppo. Più elaborata e meno incisiva al primo ascolto “Crows On The Wire” si presenta come la ideale title-track del disco, ed in effetti ne riassume in pieno le caratteristiche artistiche, estrema ispirazione, sperimentazione e utilizzo di suoni insoliti e plumbei. Ottima tra le conclusive, “Flies” gode di un refrain più memorizzabile ma non particolarmente semplice, belle le linee vocali anche se sempre lavorate e filtrate in modo sintetico, il risultato è un suono eclettico ed avvolgente, oscuro e malinconico. La giusta fine a un platter come questo è rappresentata da “Black Smoke and Mirrors” dove le solite chitarre di estrazione ribassata e vibrante si intrecciano a testi intensi e introspettivi e su una sezione ritmica potente anche se mai distruttiva, insomma un ibrido di generi o forse un esperimento di stasi che non era stato ancora tentato e che promette dei sicuri responsi in futuro.

A voi consiglio di ascoltare con attenzione questo platter prima di esprimere un vostro parere in merito, si tratta del tipico disco di cui subito si potrebbe rimaner delusi ma che con qualche passaggio di ascolto e la giusta attenzione sicuramente rivelerà le sue reali potenzialità anche a coloro che amano poco le evoluzioni artistiche del metal.

Tracklist:
1. Feed (Part 1 – Stone By Stone) 
2. Feed (Part 2 – The Awakening)
3. The Messenger 
4. In A Garden Made of Stones 
5. Some Things You Can’t Return 
6. Angels In Vertigo 
7. Regret 
8. Crows On The Wire 
9. I’m Not Waving
10. Flies
11. Black Smoke and Mirrors
12. Time (bonus track)

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