Recensione: A Secret North

Di Matteo Bovio - 24 Giugno 2004 - 0:00
A Secret North
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Anno: 2004
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82

Una pace inquietante traspare dalle note di questo ipnotico lavoro, simile alla quiete di una angosciante solitudine. L’intensità delle emozioni (o assenza di emozioni?) che questo Cd trasmette è tale che, fin dal primo ascolto, non ho potuto fare a meno di rimanerne profondamente coinvolto. Le sensazioni sono subito sentite, prodonde: un attimo di raccoglimento nel quale l’immediatezza del gruppo ha evocato emozioni contemporaneamente accoglienti e dolorose. Gli attimi successivi mi hanno suggerito un interrogativo non trascurabile: possono i The Fog In The Shell apparire tra le pagine di Truemetal.it? Perchè quel che propongono è qualcosa forse al di là dei confini che questa zine si è imposta. Ma devo rendere atto al gruppo di proporre delle sonorità che inevitabilmente affascineranno tutti gli amanti di una determinata scena e di un certo modo di concepire e proporre la propria musica.

Da qui la catalogazione nel Gothic, volendo con questa etichetta inserire il gruppo in un contesto di riferimento per i possibili destinatari di questo lavoro. In realtà le note trascinano molto più verso la matrice tipicamente post-rock di gruppi come i Mogwai; ma alcuni elementi spingono di prepotenza la band in un area che fluttua tra diverse influenze, tra cui, perchè no, anche quelle più apprezzate dagli amanti del gothic-rock di ultima generazione. Non è mio problema se determinate band abbiano effettivamente influenzato i The Fog In The Shell; quello che rimane è un reale richiamo alle atmosfere che, spero, possano interessare chi legge questa recensione.

Dopo questa lunga introduzione passo alla sostanza. Il suo nome è The Secret North, un Ep che suggerisce un attaccamento quasi maniacale ad atmosfere tristi, disperate. Il tipico caso in cui note, strumenti e formalità si spostano su un livello superiore, a formare un insieme di sensazioni che in ultima analisi costituiscono l’unica cosa veramente importante di tutto l’ascolto. Arpeggi acustici ossessivi fanno da apertura per esplosioni cariche di intensità, figlie di un rock d’avanguardia che non ha paura di inserire elementi quasi rumoristici. Il cantato rassegnato di Marco è poi un esplicito indicatore della rassegnazione emotiva che il gruppo sembra voler comunicare con ossessiva insistenza.

A livello puramente formale riscontriamo qualche imperfezione, ma questa considerazione va vista alla luce di due fatti importanti. Innanzitutto il Cd è il frutto di un lavoro ancora non paragonabile ad analoghi prodotti mainstream. Poi si tenga presente che, nell’ottica in cui il gruppo si muove, l’approccio tecnico ha un’influenza molto relativa. Con ciò non vorrei farvi pensare a qualcosa di mal fatto: al contrario, l’Ep in questione è ben prodotto e dimostra una cura nei dettagli veramente buona. Una cura che, ancora una volta, si sposta sul piano emotivo, badando al contributo finale più che alla raffinatezza tecnica.

Tracce come “Living Dreams Are Deads Lives” contengono atmosfere cupe e dissacranti al pari di lavori come La Casa Del Dolore di Nenia (il paragone riguarda solo l’impatto emotivo, non aspetti tecnici o formali), così come la successiva “A Man Escaped” riesce a generare la medesima ansia caotica di canzoni come “Panic” (Anathema). Insomma, pur non contenendo riferimenti tecnici espliciti al non ben definito mondo del Metal, questo Cd contiene elementi che non possono non attirare l’attenzione di alcuni dei lettori di questo portale. Destinato a tutti coloro che credono fedelmente all’ingenua ma attraente equazione ‘musica = emozione’.
Matteo Bovio

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