Recensione: A Stirring In The Noos

Di Daniele Ruggiero - 12 Maggio 2017 - 0:00
A Stirring In The Noos
Band: John Frum
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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80

 

John Frum è un’entità misteriosa nata negli anni trenta del novecento sull’isola di Tanna, nell’Oceano Pacifico. Partorita dal culto del cargo, la figura enigmatica senza volto, si rispecchia in una triste quanto assurda illusione nella quale prolifica la speranza di un popolo. John Frum infatti, secondo gli indigeni, era l’individuo che li avrebbe liberati dal colonialismo, e dall’oppressione europea. Durante la seconda guerra mondiale egli assunse le sembianze di un divino soldato statunitense, portatore di navi ed aerei carichi di beni e ricchezze. 

John Frum è dunque una malvagia allucinazione che respira profondamente grazie all’unione di Liam Wilson (The Dillinger Escape Plan), Matt Hollenberg (John Zorn, Cleric), Derek Rydquist (ex The Faceless) ed Eli Litwin (Intensus, Deveykus). 

Un progetto ambizioso che sfocia in un mare mosso ed oscuro avvolto dal denso manto della notte. L’opera del quartetto americano si immerge in un’ambiente freddo ed apatico nel quale nuotano mastodontici capodogli che emettono boati di grave tormento. Un oceano di velluto nero ed elegante, prevalentemente costituito da un sostanzioso technical death metal, viene sconvolto da luminescenti iniezioni di psichedelia che ne alterano il moto.

“A Stirring in the Noos” sfodera un sound massiccio nel quale si miscelano trame ritmiche complesse e compulsive che portano a galla rievocazioni sonore in pieno stile Meshuggah. L’abissale growl, intervallato da pungenti scream, si incastra tra tempi serrati ed elaborazioni musicali che invadono territori progressive. 

Dopo aver ascoltato le prime due tracce, è ‘Memory Palace’ a spalancare le surreali porte di una mente totalmente ipnotizzata. La calma apparente, densa come il miele, si lascia ingoiare da una modulata malvagità che apre il sipario su un mondo parallelo. I continui avvicendamenti delle chitarre, arricchiti da assoli deliranti, proiettano frenetici combattimenti fra creature alate avvolte da colori brillanti: un formidabile intreccio di follia.

Ogni brano è come un’onda che si infrange sugli scogli: una circostanza non del tutto singolare ma così irresistibile da guardare e riguardare continuamente. In questa cornice spigolosa ed oscura, “A Stirring in the Noos” mostra un volto dal ghigno artistico che richiede un sguardo attento da diverse angolazioni per essere notato e  compreso.

Paurose correnti d’aria danzano nell’oscurità del tempio di ‘Lacustrine Divination’: un districato labirinto nel quale la quiete precaria muta in una corsa turbolenta incalzata da ritmiche nevrotiche. Le voci indigene di ‘He Come’ introducono una premonizione strumentale dai toni solidi che vengono scolpiti dai virtuosismi di Eli Litwin dietro le pelli. Gli otto minuti e mezzo di ‘Assumption of Form’ gravitano attorno a stratificazioni sonore composte da tecnica, violenza e graduali cambi di tempo. Il disco termina con ‘Wasting Subtle Body’, brano paragonabile ad uno stato febbricitante caratterizzato da spasmi aggressivi e divagazioni schizofreniche che portano alla visione sfocata del misterioso spettro americano.

John Frum è giunto fra noi, non vuole essere venerato, ma soltanto ascoltato.

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