Recensione: Aamongandr

Di Alessandro Rinaldi - 29 Dicembre 2022 - 0:24
Aamongandr
Etichetta: Werewolf records
Genere: Black 
Anno: 2022
Nazione:
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85

“CHRISTIAN MAGGOTS CRAWL IN ENSLAVEMENT

OF DARKNESS AND THE IRON DOMINANCE OF CRUELTY”

 

I Satanic Warmaster, con le loro radici ben salde nello scorso millennio (1999) nella terra di Babbo Natale, sono uno dei pezzi di storia di questo genere e hanno saputo resistere ai cambi di line up che li hanno portati ad essere, oggi, una one man band con il solo Lauri Penttilä – meglio noto come Satanic Tyrant Werwolf – a portare avanti l’eredità del gruppo finlandese.

Una band che, nel corso di questi anni, è stata coinvolta in alcune polemiche inerenti la loro presumibile vicinanza al nazionalsocialismo a causa di alcuni testi dei loro brani e dell’utilizzo di alcune simbologie; accuse sempre rispedite al mittente, da parte di Werwolf, che ha sottolineato come i temi trattati dai Satanic Warmaster siano principalmente legati alla natura, al folclore e al satanismo paneuropeo, allineandosi, quindi, con la tradizione della seconda ondata del black metal.

Aamongandr giunge quindi a noi dopo 8 anni di assordante silenzio ed è l’erede dell’ottimo Fimbulwinter, anzi, potremmo definire questa nuova gemma come una prosecuzione del precedente lavoro ma con altri mezzi: già, perché, sebbene la struttura delle canzoni sia molto simile,  questo disco ha un sound più diretto e meno armonioso e, attraverso la ricerca di sonorità più black, Satanic Werwolf è riuscito a fare un passo un  balzo in avanti regalandoci un disco sensazionale.

Il protagonista dell’artwork è proprio lui, Werwolf: il lupo mannaro al centro della scena che ha le mani sporche di sangue per gli omicidi compiuti; il paesaggio è avvolto da fiamme che si innalzano fino al cielo dove volano dei pipistrelli, quasi a voler comunicare all’osservatore che l’Inferno è sulla terra e a rammentarcelo sono i cadaveri, sulla destra, impalati che si erigono dalle fiamme. Anche da un punto di vista prettamente grafico, quindi, Lauri Penttilä ribadisce, qualora ce ne fosse ancora bisogno, quali sono le fondamenta culturali su cui poggia il progetto dei Satanic Warmaster.

Baphomet è il brano che apre l’opera e che promuove l’album. Una scelta forte perché è uno dei pezzi più aspri del disco, quelli che portano indietro le lancette dell’orologio: una lunga cavalcata tra un pestaggio alle pelli e le chitarre spigolose, che tessono una tetra melodia che ci porta ad un’ altra gemma, Duke’s Ride, che ricorda molto i Cradle of Filth dei tempi di Dusk And Her Embrace. Una voce cruda, delle melodie distorte ma armoniose e le tastiere che danno quel tocco di teatralità e pathos che sono l’ingrediente in più che eleva questa oscura meraviglia. La macabra Berserkr Death è pura apologia della figura mitologica norrena, il guerriero senza scrupoli coperto da pelle di orso che ha ispirato la figura del lupo mannaro; si parte con tamburi che rievocano i motivi che i soldati utilizzavano per darsi la carica, ma dopo pochi secondi il pezzo si evolve con un ritmo incalzante e allo stesso tempo epico. Con Eye of Satan si torna all’Inferno, con tutti i suoi più illustri residenti in primo piano: il suono delle campane ed ritmi forsennati sono la base attorno a cui si sviluppa la stessa. Darkness…Triumphator è il brano più cattivo del disco, e per certi versi inasprisce i toni della precedente canzone seguendone la struttura. A chiudere il sipario c’è Barbas X Aamon, un vero e proprio capolavoro, che ricorda molto il black metal a tinte ambient di Burzum: l’oscura solennità evocativa, le atmosfere glaciali e disperate, e il riff di synth attorno a cui viene costruita è in perfetto stile Filosofem, ma rispetto all’opera maestra di Varg, Werwolf la sviluppa più su un piano elettrico che elettronico, ed il risultato è questa Arkengemma, il Cuore del Disco.

La struttura di Aamongandr è semplice e minimalista, ma viene impreziosita da alcuni piccoli dettagli che rendono questo disco un grande album che ogni metallaro dovrebbe quanto meno ascoltare se non comprare. E’ un viaggio nel tempo, un lavoro che contiene un po’ tutte le sonorità dell’Età dell’Oro di questo genere aiutato da una ricercata produzione lo-fi che non danneggia il disco ma lo aiuta ad esprimersi su altissimi livelli, dando quel tocco che lo rende ancora più “true”. L’album è bilanciato in modo impeccabile: il pungente quanto anticristiano (per buona pace di Werwolf) songwriting è diretto e descrive scene di vita quotidiana all’Inferno. Il drumming è primordiale mentre le chitarre, nel loro essere piuttosto semplici, riescono a graffiare a fondo nell’anima di chi ascolta; le tastiere danno quel tocco oscuro in più che fa la differenza. Tutto dannatamente perfetto.

Una corona composta da cinque gemme ed un oscuro diamante.

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85