Recensione: Abyss, Fire, Brimstones

Di Manuele Marconi - 25 Giugno 2022 - 22:36

Di certo, se pensiamo alla Puglia, la prima cosa che verrebbe in mente ad un ipotetico turista non sarebbe un gruppo di persone particolarmente affezionate a Satana. Tanto meno se queste persone non perdono occasione per ricordarcelo, sbattendoci nei timpani dosi massicce di metallo tanto nero e cupo quanto sono assolate e raggianti le terre da cui essi stessi compongono. Gli “Ad Noctem Funeriis” non sono comunque dei principianti: “Abyss, Fire, Brimstones” è il terzo full length ufficiale, disco che spesso rappresenta la maturità artistica di un qualsiasi gruppo, il riferimento ai Mayhem nel nome del gruppo dovrebbe far capire gli intenti dei nostri.

Il disco si apre con “Abyss I”: un brano senza fronzoli, ben scritto e ben eseguito; molto classicamente black metal. Buon lavoro sia in fase di riffing che alla batteria, pezzo pregevole seppur ridondante a un certo punto. Nonostante l’impatto più che positivo con il pezzo di apertura del disco, si nota fin da subito che la definizione poc’anzi riportata di esso potrebbe tranquillamente essere copiata ed incollata per ogni singolo brano. Il dilemma è il seguente: si può definire una qualità?

Il disco risulta sempre ben eseguito, tutti gli elementi sono ben amalgamati e la produzione gli rende giustizia, ma se già dal primo pezzo si avverte un po’ di stanchezza ad arrivare alla fine figuriamoci per i successivi 40 minuti. Questa stanchezza inevitabilmente prende via via il sopravvento, e lascia all’ascoltatore un disco che va avanti senza soluzione di continuità, come fosse un unico grande pezzo. La proposta è fin troppo semplice pur essendo un black di natura grezza, e manca quindi l’elemento di curiosità che spinge a riascoltare anche solo quei 10 secondi di una traccia appena conclusa. L’impressione è che il disco tenda troppo a piegarsi su sé stesso: si gira sempre attorno ad un leitmotiv che non esplode, non cresce e non avanza, né in forma né in intensità (chiaramente né verso l’alto né verso il basso). Unica eccezione a questo blocco di malignità e blasfemia è “Brimstones I”, un pezzo totalmente strumentale ed acustico. Arrivare qui rappresenta una boccata d’ossigeno (forse voluta dal gruppo per sottolineare l’atmosfera sulfurea e opprimente dell’inferno?), ed una dimostrazione di quanto i nostri siano effettivamente dotati sotto il profilo compositivo, dispiace molto constatare che avrebbero potuto sfruttare meglio queste capacità. Questo brano risulta essenziale per spezzare il ritmo, ma viene proposto fuori tempo massimo: appena prima del brano conclusivo, quando ormai tutto il disco ha espresso (quasi) tutto il suo potenziale.

Parliamo quindi di un lavoro buono ma che non si applica. I nostri dimostrano di avere inventiva e capacità, purtroppo appiattendosi su una proposta d’impatto ma che cattura solo a breve termine. A lungo andare infatti si manifesta una stanchezza non indifferente, non nella proposta ma nell’ascolto di brani che si susseguono quasi senza soluzione di continuità.

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