Recensione: Access all Worlds

Di Tiziano Marasco - 8 Aprile 2021 - 9:00
Access all worlds
Band: Iotunn
Etichetta: Metalblade
Genere: Black 
Anno:
Nazione:
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84

Avete presente quei dischi fatti per piacere? Quelli con la produzione iperpompata, dannatamente orecchiabili anche se presentati per estremi, e accompagnati da una poetica o da una copertina arzigogolata e pretenziosa. Sì? Ecco, “Access all worlds”, debut dei danesi Iotunn, è esattamente tutto questo.

C’è poco da girarci intorno, la Metalblade (che peraltro ha sulla coscienza la svolta discografica non felicissima camuffata da doppio album di Periphery e BTBAM) deve aver visto in questi quattro ragazzi una next big thing. Va da sé che per la realizzazione di “Access all worlds” non deve aver lesinato mezzi. Disco presentato come “space metal” e che fin dal primo ascolto mette sul piatto il suo limite: l’essere troppo, troppo, troppo, leccato.

L’inizio è di quelli fatti per irretire anche il più distratto degli ascoltatori. La formula si sviluppa come segue:

1) Apertura con tastierino dimesso da atmospheric black metal cosmico;
2) Al 60mo secondo spaccato irruzione della band al gran completo con riff taglienti, velocissimi (contrariamente a quel che ci aspetteremo dall’atmoblack) ma non complessi. E immancabile rutto siderale per lasciar presagire il classico platter supercattivone tutto rutti e riff all’ultimo bpn.

Un presagio che però non potrebbe essere più lontano dalla realtà.

Irrompono le clean vocals, davvero tanto clean, forzate e che cercano le note alte in un modo che dapprima irrita, poi strappa un sorriso (ma dove volete andare?) e poi cattura, perché comunque le melodie sono facili.

Questo è in sostanza “Access all worlds”, uno strano miscuglio di black atmosferico, qualche spruzzata di Death, meno growl di quanto la opener voglia farvi credere, “Time I” dei Wintersun, gli assoli di May e Gilmour, nonché una bella dose di power stile Iced Earth – in effetti gli Iotunn nel 2016 avevano alle stampe un Ep che era molto più power che black.

Potremmo chiuderla qui, dare un 40 e tirarci un pippone sull’industria musicale che ormai bada più all’apparenza che alla sostanza.

E invece no.

Bisogna tornare al paragrafo tre e notare che vi è scritto “mette sul piatto il suo limite mette sul piatto il suo limite”. Non “il principale dei” ma proprio “il suo”. Altri non ce n’è mica. E questo ci porta alla seconda constatazione che non possiamo eludere. Questi “Iotunn” di loro, sono proprio bravi.

Il miscuglio che questi ragazzi hanno messo appunto tra l’Ep e il debut risulta davvero vincente. Una musica che unisce il classico del metal e riesce a guardare abbastanza al futuro. Il merito per molti aspetti è proprio delle clean, che sono sì forzate nella loro ricerca di grandiosità cosmica), ma sono abbinate a linee di facile assimilazione che non scadono (troppo) nel pacchiano. Fermo restando che state leggendo uno che adora il Vintersorg del periodo cosmico. E in ogni caso, le vocals sono di Jón Aldará dei Barren Earth.

Ciò detto, lo strano abbinamento tra furibondaggine black e ariosità power dà vita anche a livello strumentale, a una manciata di pezzi che scorrono agevolmente nonostante un minutaggio corposo – 59 minuti per 7 tracce. Di queste una menzione sicura va alla title track e alla conclusiva “Safe across the endless Night”. Rimane poi il fatto che il disco non ha momenti morti ed è caratterizzato da un’ottima omogeneità a dispetto delle mille influenze. Insomma, potete sentire un pezzo a caso e se vi piace potete andar tranquilli anche con gli altri sei.

Ora, tornando al fatto che il disco rimane comunque fatto e prodotto con l’obiettivo primo di piacere, si potrebbe obiettare che magari dopo due o tre ascolti l’entusiasmo scemi. Beh, l’entusiasmo ancora non è scemato e il disco è uscito a metà febbraio. Quindi…

Quindi possiamo dire che “Access all worlds” è un disco molto valido, superata la diffidenza iniziale. E gli Iotunn sono una band con un gran potenziale di idee e un’ottima capacità di songwriting. Partono regalandoci un debut che rimescola piuttosto bene vari tipi di metal, restando sospeso tra classicismo e innovazione (a differenza di quel che si vorrebbe far credere). Un album che, siamo onesti, forse ha anche delle sparute possibilità di trovarsi ai piani alti delle nostre classifiche di fine anno. E sicuramente entra a gamba tesa per prenotare il titolo di album rivelazione.

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