Recensione: Agony

Di Emanuele Calderone - 23 Settembre 2011 - 0:00
Agony
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Anno: 2011
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73

Nati nel 2007 a Roma, i Fleshgod Apocalypse sono diventati, nel giro di poco tempo, una delle realtà più importanti e più seguite del panorama estremo italiano.
Complici lavori di grande spessore artistico, su tutti “Oracles” e l’EP “Mafia”, e una proposta sufficientemente originale, i cinque musicisti sono riusciti, nel giro di pochi anni, a conquistare una discreta notorietà anche fuori dai confini nazionali. Tale processo di crescita culmina nel 2010 con la firma per la più grande major in campo metal: la Nuclear Blast.

Proprio in seguito a questo nuovo contratto, i romani tornano a calcare le scene musicali con il nuovo disco denominato “Agony”, un album che, come vedremo, non mancherà di dividere il pubblico.
Musicalmente l’ultimo parto del combo poco si discosta da quanto si è potuto ascoltare in precedenza, continuando a presentare le solite bordate in bilico tra technical death metal e brutal, con parti sinfoniche. Il risultato finale riporta inevitabilmente alla mente il lavoro di band quali Dimmu Borgir, specialmente quelli del celebrato “Deathcult Armageddon”, i Vesania o SepticFlesh.

Ciò che differenzia questo “Agony” rispetto a “Oracles” è che, questa volta, la componente sinfonica si ritaglia uno spazio maggiore, tanto da divenire la vera e propria protagonista di quasi tutte le composizioni.
Conseguentemente al rafforzamento del reparto orchestrale, si assiste, inevitabilmente, a una decisa semplificazione del riffing e delle linee di basso, che si fanno assai più lineari, pur senza mai risultare banali. Lo snellimento del comparto chitarristico però (e per fortuna aggiungeremmo), non comporta una perdita di aggressività: l’opera rimane a suo modo brutale, pur godendo di un’eleganza formale che ha davvero pochi eguali.
Nulla è invece cambiato sul versante batteria: Francesco continua imperterrito a sparare scariche di doppia cassa rapidissime e blast-beat a non finire, non lasciando quasi mai un momento di pausa.
Il discorso circa gli aspetti di brutalità ed eleganza fatto poco sopra, può essere poi tranquillamente riproposto analizzando il comparto vocale: da una parte Tommaso con il suo growl gutturale sottolinea i momenti di maggiore tensione, dall’altra parte Paolo con i suoi vocalizzi puliti spezza le atmosfere, cercando di regalare un momento di pace all’ascoltatore. Proprio sulla prestazione di quest’ultimo ci dobbiamo però fermare a riflettere: nonostante il risultato, almeno su cd, sia tecnicamente sufficiente (e lungi comunque dall’attestarsi su livelli di perfezione), le linee vocali di Rossi ci sono sembrate fin troppo esasperate e forzate. L’altezza della tonalità rischia il più delle volte di rendere l’ugola del bassista/cantante quasi “fastidiosa” e talvolta del tutto fuori contesto.

Dando un rapido ascolto alle dieci tracce contenuto all’interno del full-length ci si accorge sin da subito che, rispetto ad “Oracles”, le composizioni si siano fatte decisamente più omogenee e somiglianti l’un l’altra. Se infatti sul precedente lavoro dei romani ogni brano aveva un’identità propria, questo “Agony” sembra leggermente più piatto sotto il profilo della varietà e della freschezza del songwriting.
Le canzoni si susseguono una dopo l’altra e talvolta si ha l’impressione che i pezzi tendano a somigliarsi fin troppo. A sostegno di quanto affermato basterebbe ascoltare episodi quali “The Violation” e “The Betryal”, entrambi simili anche alla bellissima “The Decit”.
Tra i pezzi meglio riusciti, una doverosa citazione la meritano invece l’atmosferica, semplice e, a suo modo, delicata “The Forsaking”, piuttosto che “The Hypocrisy”, che è forse la più completa ed efficace del lotto.

Ci sembra quanto mai doveroso evidenziare come il quintetto riesca ad affrontare con estrema disinvoltura anche i passaggi più arditi e complessi. L’ottima preparazione tecnica di ciascun membro viene sempre messa a servizio delle canzoni e non si incontrano mai sterili tecnicismi o passaggi troppo artefatti.

Come lecito -e doveroso- aspettarsi, la Nuclear Blast offre agli italiani una produzione che ha, teoricamente, del miracoloso. I suoni sono brillanti, corposi, cristallini e oltremodo puliti; i volumi sono calibrati con precisione svizzera, in modo che nessuno strumento sovrasti gli altri.
Se proprio vogliamo cercare il pelo nell’uovo, però, sono proprio quei suoni così puliti a non convincere al 100%, facendo perdere naturalezza agli strumenti.

In finale i Fleshgod Apocalypse tornano sul mercato con un album che, pur attestandosi diversi gradini sotto rispetto al debut “Oracles”, conferma le loro qualità tecnico/esecutive e il loro buono stato di salute.
Sperando che i nostri tornino al più presto sul tetto del mondo, per ora non ci rimane che gustarci questo buono, ma non ottimo “Agony”.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Temptation
02- The Hypocrisy
03- The Imposition
04- The Deceit
05- The Violation
06- The Egoism
07- The Betrayal
08- The Forsaking
09- The Oppression
10- Agony

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