Recensione: Alternative 4

Di Matteo Bovio - 19 Dicembre 2001 - 0:00
Alternative 4
Band: Anathema
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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90

Ciò che mi affascina di più nel mondo del metal è la sua incredibile varietà. La cafoneria di chi non segue questa scena per motivi pregiudizievoli sta spesso nell’associare alla parola metal aggettivi come rumoroso, casinista, monotono e niente più. A chi senza tante pretese si interessi solo un attimo in più non può invece non risultare evidente come molti gruppi associati alla scena facciano di termini come sentimento, emozione, raffinatezza le proprie armi. Gruppi di cui ogni fan attende trepidante l’uscita, perchè sa che ogni nuovo cd sarà un insieme di emozioni nuove, da scoprire ad ogni ennesimo ascolto. Mi si perdoni l’incipit, ma è d’obbligo dovendo introdurre gli Anathema.

L’evoluzione che ha contraddistinto il gruppo inglese è propria di pochi, ed è una scelta coraggiosa. Si è passati da un Doom molto cupo fino ad arrivare a un Gothic-Rock decisamente più elaborato. Il facile ascolto non si addice di certo al monicker Anathema. Qui si sperimenta su un terreno dove gli incapaci possono solo scottarsi le mani: quello del sentimento. Ogni album segue una linea tutta sua e, sebbene non sia così difficile trovare ciò che accomuna i diversi episodi, vederne le differenze è sicuramente più interessante.

Alternative 4 segue una linea piuttosto introspettiva, e proprio per questo è uno dei cd più difficili da assimilare e da capire mai scritti dagli Anathema. Perchè possano considerarsi tra gli eredi dei Pink Floyd è oramai evidente; la testimonianza più chiara ci è data da quella perla di bellezza che è “Regret“. Non mancano episodi più immediati, come ad esempio “Fragile Dreams” o la successiva “Empty“, che nella loro semplicità hanno sempre e comunque quel particolare, quel qualcosa che non può farceli liquidare come semplici brani rock. Quello che stupisce nell’insieme sono proprio i dettagli, le scelte che ad un primo ascolto possono dar fastidio mentre a lungo andare regalano le emozioni più forti.

Su ognuno dei pezzi si potrebbero scrivere intere pagine, ma sarebbero pagine inutili, valide solo per chi le ha scritte; non dubito del fatto che qualche fan abbia trovato superflue molte delle cose che ho detto sin qui. Tuttavia quello che voglio far capire è che se si cerca qualcosa in questo album, di sicuro qualcosa si troverà. E’ un album che deve essere curato, accudito, custodito gelosamente. Per possedere la sua poesia bisogna immergercisi completamente, ascoltare e riascoltare istante per istante ciò che ha da dirci. La superficialità non va d’accordo con gli Anathema.

Trovo che tra gli episodi più degni di nota siano da annoverare la già citata “Fragile Dreams” e la sesta traccia, “Inner Silence“. Sapranno farvi capire come la semplicità, se usata con maestria, possa diventare un efficacissimo strumento di comunicazione. Sono canzoni che vi devono necessariamente far dimenticare qualsiasi pregiudizio e cogliervi per la loro immensa bellezza, che prescinde da generi musicali e che deriva solo e unicamente dal loro ascolto. Gli Anathema possono non piacere, ma è d’obbligo averli ascoltati per poterlo dire.
Matteo Bovio

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