Recensione: An Excellent Servant But A Terrible Master

Di Daniele D'Adamo - 27 Dicembre 2011 - 0:00
An Excellent Servant But A Terrible Master
Band: Pyrrhon
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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80

Nella miscela di tre elementi che i Pyrrhon prendono in quantità praticamente uguali per creare il proprio sound – death, prog e doom – l’ultimo elencato è quello che provoca maggiori anomalie. Il contenuto lisergico che accompagna il genere più introspettivo del metal ha condotto, infatti, le menti dei quattro giovani musicisti newyorkesi a partorire un lavoro, “An Excellent Servant But A Terrible Master”, pieno zeppo di elementi psichedelici e ritmi jazz, conditi da testi semplicemente deliranti.

“An Excellent Servant But A Terrible Master”, realizzato alla fine dell’agosto di quest’anno, è il primo full-length del combo americano, formatosi nel 2008. Prima del 2011, un demo (“Demo 2009”, 2009) e un EP (“Fever Kingdoms”, 2010). Registrato e missato da Dan Pilla ai Bad Lab Studios di Tabernacle (New Jersey, USA), il disco è stato poi masterizzato da Colin Marston (Gorguts, Dysrhythmia, Krallice) presso i The Thousand Caves Studios nei Queens (New York City, New York, USA).

Spesso gli artisti a stelle e strisce amano contaminare il proprio sound, qualunque esso sia, con le acide sonorità provenienti dalle immaginarie praterie dello sludge, dello stoner o del doom, appunto, dando luogo a ibridi di sicuro interesse. Nel caso in cui la base portante sia il death, uno dei punti di riferimento è senza dubbio rappresentato dai californiani Intronaut. I Pyrrhon, a essere sinceri, pestano di più sui loro strumenti ma, se si tratta di entrare in allucinate dimensioni parallele, non si dimostrano certo secondi a nessuno. L’incipit di “New Parasite”, opener di “An Excellent Servant But A Terrible Master”, è lì apposta per evidenziare questo concetto: le allucinogene note emesse dalla chitarra di Dylan DiLella e il guazzabuglio ritmico che ne segue fanno subito capire che il viaggio lungo le otto canzoni del platter sarà lungo e cervellotico. Ma, soprattutto, emotivamente intenso e ricco di sapori dagli aromi più diversi.

La musica dei Pyrrhon è lontana anni-luce dal concetto di orecchiabilità. Se a volte s’intravede, in lontananza, qualche squarcio melodico, si tratta di aperture atte a spezzare la disarmonia tipica del jazz ma non certo di momenti in cui si possa pensare all’aggettivo ‘accattivante’. Malgrado queste premesse, la lunga dedizione all’album conduce a un risultato quasi stupefacente: poco a poco, gli ‘assurdi’ passaggi concepiti da DiLella e compagni si fanno strada con decisione nei meandri più interni della mente di chi ascolta, provocando, ascolto dopo ascolto, un senso di astratto piacere; diametralmente opposto a quello cui potrebbe coincidere, dopo un primo, distratto ascolto, l’inevitabile conclusione dell’avventura: il senso di noia.

Questo risultato inaspettato è frutto di una grande inventiva e, comunque, di un’irreprensibile coerenza stilistica. Le idee partorite dai cervelli dei Pyrrhon, difatti, hanno il dono di pescare in grande profondità entro le insondabili fosse dell’animo umano, riuscendo tuttavia a emergere con forza e decisione mostrandosi con una naturalezza che, paradossalmente, è inversamente proporzionale alla loro complessità. Dando seguito a uno stile pressoché unico: quello dei Pyrrhon, per l’appunto. Uno stile dove si sposa con spettacolare abilità un growling/screaming bestiale come pochi – quello di Doug Moore – a un guitarwork trasognante ed etereo come si può ascoltare, per esempio, in “Correcting A Mistake”. Arrivando, infine, a vagare nel nulla con veri e propri voli pindarici così come accade nella stralunata “Flesh Isolation Chamber”. Oppure, scatenando il buio che alberga nei più reconditi anfratti dell’Io con bordate di blast beats e violentissimo technical death metal (“Gamma Knife”).

Guai a prendere alla leggera “An Excellent Servant But A Terrible Master”: si butterebbe dalla finestra un’incredibile possibilità di fluttuare nell’alterazione della coscienza provoocata dal doom, spinti dalla potenza del death metal. Quest’opera va assaggiata, divorata, digerita e assimilata. Con calma e concentrazione. Allora, sì: il nome ‘Pyrrhon’ rimarrà scolpito nella scatola cranica per lungo, lungo tempo.    

Daniele “dani66” D’Adamo

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Tracce:
1. New Parasite 7:34     
2. Glossolalian 3:13     
3. Idiot Circles 4:40       
4. Correcting A Mistake 3:21       
5. Gamma Knife 4:55       
6. The Architect Confesses (Spittlestrand Hair) 4:49       
7. Flesh Isolation Chamber 8:24       
8. A Terrible Master 8:04             

Durata 45 min.

Formazione:
Doug Moore – Voce
Dylan DiLella – Chitarra
Erik Malave – Basso
Alex Cohen – Batteria

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