Recensione: Angelmaker
Fra le migliori sorprese in ambito HM classico del 2008 spicca l’inaspettato ritorno degli svedesi Overdrive che con Let the Metal Do the Talking – nomen omen – sbaragliano buona parte delle nuove leve dedite alla sonorità sacre e tradizionali della siderurgia applicata con un album killer. Altrettanto curioso il fatto che una formazione nata nell’anno d’oro 1980 e con ben due full length sul groppone: Metal Attack (1983) e Swords and Axes (1984) – entrambi dalla copertina indimenticabile… – si rimetta insieme dopo così tanto tempo per ben quattro quinti degli effettivi, con l’eccezione del solo cantante. Un po’ di rughe in più e qualche chilo di capelli in meno non fermano di certo i cinque scandinavi che, assoldato Per Karlsson – già Unchained – mettono a ferro e fuoco il mercato grazie a un lavoro fresco, possente e diritto alla bocca dello stomaco.
Inevitabile, quindi, riporre non poche speranze nel successore, intitolato Angelmaker, dalla copertina intrigante, sul mercato da febbraio 2001 sempre sotto Lion Music. Squadra che vince non si cambia, infatti gli uomini provenienti da Karlshamn confermano il quintetto base del 2008 e si apprestano a una nuova, stimolante, sfida, a partire dal significato più vero nascosto sotto l’apparente definizione di coloro che fanno angeli. Non donne che danno alla luce nuovi virgulti bensì prezzolate creature femminili dedite alla soppressione di bimbi indesiderati. Per soffocamento, annegamento e anche per deperimento degli stessi – in pratica li lasciavano morire di fame –, persone malvagie realmente esistite in Svezia e dintorni fino a un secolo fa, all’incirca. Pare che l’ultima di esse sia stata condannata “solamente” nel 1920.
Inizio all’insegna dei Judas Priest con Signs All Over, pezzo variegato che permette al singer Per Karlsson di dimostrare quanto valga fra un duello vocale e l’altro, in pratica con se stesso. Accelerazioni e cascate di riff in piena sintonia con la lezione indiscutibile dei maestri di Birmingham.
In Gut We Trust rallenta i toni rasentando spudoratamente gli Skid Row di Sebastian Bach. Nulla di male, s’intende, ma tant’è. In netta contrapposizione, Angelmaker spacca di brutto ancora sulla scia delle mazzate metalliche del Sacerdote di Giuda più famoso al mondo. Grandi schitarrate per grandi scapocciate, esattamente come la Sacra legge scritta nel Valhalla del Metallo esige. Tutto in regola, quindi.
Arriva inaspettata la reprise di I Know There’s Something Going On, tormentone-singolo del 1982 scritto da Russ Ballard e diffuso in tutto il mondo dalla voce di Anni-Frid Lyngstad, meglio conosciuta come Frida degli Abba, con nienetepodimeno che Phil Collins dei Genesis in veste sia di produttore che di batterista, per l’occasione. I Nostri overdrivizzano a dovere la hit con buoni risultati, stando attenti a non rovinare l’aurea melodica che ne fece le fortune evitando intelligentemente di cadere nel tranello che la vorrebbe violentata da urla disumane e inutili prestazioni da superdotati della guerra dei watt, ben consci che esistono altri modi e metodi per dimostrarlo.
Under The Influence vive di sublimi duelli fra asce fumiganti e grandi riff portanti ma nulla più, On With The Action, anticipata da alcuni tuoni si rivela una mezza delusione per via del coro riuscito solo a metà e dall’impianto anonimo, figlio di una brutta copia di una brutta B-Side dei Saxon, tenendo conto che di Overdrive-songwriting si tratta!
See The Light è la risposta immediata e in positivo al pezzo che l’ha preceduta: suoni diretti, puliti e killer come i maestri Scorpions hanno insegnato al mondo, Hammerfall e Overdrive compresi, nel caso specifico. Il classicissimo riff posto in apertura di To Grow vale il costo del biglietto, così come il resto del brano, semplice ma spaccaossa nella sua fiera ignoranza metallica, bridge da manuale compreso, vedasi ancora alla voce Joacim Cans & Oscar Dronjak Co. Fuori luogo i lontani cori da stadio.
I cinque minuti e passa di Mother Earth costituiscono la risposta dei cinque scandinavi allo strapotere prussiano dei Primal Fear, con una netta vittoria dei secondi nei confronti dei primi. La prossima volta affilare le armi e soprattutto il songwriting, con dosi adeguate di ispirazione.
It’s A Thriller è Accept fino al midollo con un grandissimo e urlante Per Karlsson dietro al microfono. La semplice e semplicistica Cold Blood Chaser funge da apripista ai dieci minuti e due secondi della suite metallica The Wavebreaker, episodio trasognante dal tratteggio marziale che urla all’universo quanta classe sappiano esprimere in musica dei ragazzi del ’99 – ops, ’80 -, roba da far mangiare al polvere al 50% delle band defender o pseudo-tali in circolazione. Finale al solluchero ferroso.
Angelmaker, seppur risultando meno eclatante del predecessore Let the Metal Do the Talking, offre comunque numerosi possenti spunti costruiti su solide basi di Metallo Puro, che è quello che conta, alla fine, alla faccia di qualche brano poco riuscito.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
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Tracklist:
1. Signs All Over
2. In Gut We Trust
3. Angelmaker
4. I Know There’s Something Going On
5. Under The Influence
6. On With The Action
7. See The Light
8. To Grow
9. Mother Earth
10. It’s A Thriller
11. Cold Blood
12. The Wavebreaker
Line-up:
Per Karlsson: vocals
Janne Stark: guitars
Kjell Jacobsson: guitars
Kenth Eriksson: bass
Kenta Svensson: drums