Recensione: Anything Call It

Di Daniele D'Adamo - 3 Aprile 2011 - 0:00
Anything Call It
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Genere:
Anno: 2010
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75

E questa sì che è una sorpresa!
Dalle lontanissime terre del Sol Levante, abituali territori ove hanno cacciato e guerreggiano tuttora centinaia di metal band occidentali, arriva – invece – un gruppo dagli occhi a mandorla in grado di competere con i migliori esponenti del metalcore europeo e americano.

“Anything Call It”, album di debutto dei nipponici Immortal Sense è, infatti, una bordata in pieno volto; una vigorosa fiondata d’energia che spiazza al volo la convinzione che la qualità metal sia necessariamente legata e certi paesi invece che ad altri. Lo stile degli Immortal Sense, fresco e moderno, è spostato con decisione verso il metalcore, pur avendo un retroterra culturale che fonda le sue radici sino all’heavy metal (“Self-Projection”). Del resto il quintetto esiste sin dal 2001, quando si faceva chiamare Enema e suonava il più classico dei thrash. La primigenia rabbia di questo genere è rimasta inalterata, durante tutti questi anni, nonostante ci sia stato il predetto spostamento in direzione di una delle più avanzate e popolari manifestazioni del death (il metalcore).
La succosa differenza rispetto alle tante band che si dedicano a questa tipologia musicale è insita nel fatto che gli Immortal Sense sono ‘dannatamente metal’. Non si tratta, cioè, di ragazzi che, arrivando da direzioni diverse, hanno trovato nel metalcore un punto di contatto con il Mondo di metallo; bensì di elementi che sono invece nati in tale pianeta affilando poi le armi per renderle competitive ovunque. La spiegazione di questo fatto non è difficile, poiché in Giappone hanno suonato i più grandi act rock/metal di ogni tempo. Con che, delle menti dotate di orecchie attente e di cervelli ricettivi possono aver incamerato le tante sfumature (di tutti generi, peraltro: rock, punk, classical, jazz, ambient, electronic music, …) cui sono state in contatto, per elaborare su di esse una formula completamente diversa, tuttavia fusa alle parti prima memorizzate.
Se a questo ci si aggiunge che Nakaoka e i suoi compagni sono ben dotati dal punto di vista tecnico, con ciò evitando qualsiasi sospetto d’improvvisazione mirata a salire sul carro dei vincitori, il risultato è davvero vincente. La coppia d’ascia Kurosawa/Ueno fa vedere di avere imparato tutto il necessario allo scopo dai migliori chitarristi metal, inventando per “Anything Call It” un esteso rifferama, violento e cattivo, nobilitato spesso e volentieri da soli d’antologia classica (“Dual”). La sezione ritmica, sostenuta da un indiavolato Mikame perennemente impegnato a scaricare tutta la sua energia cinetica nelle quattro corde del suo strumento (“Senpenbanka”), e dall’infaticabile martello pneumatico Yamaguchi (“Soutai No Rensa”), è complicata, non-lineare ma intellegibile in ciascun passaggio. Sono solo due i punti deboli che balzano subito in evidenza. La produzione, opera degli stessi Immortal Sense, che è un po’ pastosa, anche se non così da rendere inutile il gran lavoro svolto in sede esecutiva; e l’interpretazione vocale di Katsuya Nakaoka, perfettamente agganciata a quello che richiede il mercato in materia (i gorgoglii di “Immortal Sense”, per esempio), ma che manca del quid pluris posseduto, invece, dai suoi compagni d’avventura. Peccati veniali, comunque, che non intaccano più di tanto la granitica solidità del lavoro nel suo complesso.

La buona preparazione tecnica dei ragazzi della Gunma Prefecture, assieme alla spessa coltre culturale su cui essi hanno eretto la loro opera, fa rapidamente dimenticare i nei appena citati; poiché con ciò i Nostri tirano fuori dal cilindro dieci canzoni godibili e piacevoli, ma per nulla ‘leggere’. Anzi, la quantità d’informazioni musicali in esse presenti fa sì che siano necessari parecchi ascolti prima di giungere alla piena assimilazione del platter. Platter che non presenta elementi di grande innovazione, questo va rimarcato, avviluppandosi saldamente al proprio stile per una coerenza però completa al metalcore.

Chi avrà tempo e pazienza per farlo, avrà comunque modo di divertirsi parecchio, con “Anything Call It”. Dall’opener “Boukoku No Sanbika”, lunga suite dal crescendo rossiniano, sino alla conclusiva, violentissima “Requiem For Doom”, una ‘montagna di metal’ da scalare lo aspetterà, con i suoi numerosi sentieri tutti da esplorare.
   
Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. 亡国の賛美歌 (Boukoku No Sanbika) 9:49    
2. Immortal Sense 5:21        
3. Self-Projection 2:54        
4. Dual 5:17        
5. Loop 3:09        
6. Low Down 1:12        
7. 相対の連鎖 (Soutai No Rensa) 3:31        
8. 千変挽歌 (Senpenbanka) 4:02        
9. War To Myself 2:45        
10. Requiem For Doom 5:01    

All tracks 43 min. ca.

Line-up:
Katsuya Nakaoka – Vocals
Masatoshi Kurosawa – Guitar
Michiaki Ueno – Guitar
Taisei Mikame – Bass
Tomoyuki Yamaguchi – Drums
 

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