Recensione: Appetite For Destruction [Locked N’ Loaded Edition]

Di federico venditti - 11 Luglio 2018 - 16:30
Appetite For Destruction [Locked N’ Loaded Edition]
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2018
Nazione:
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99

Ognuno di noi ha delle memorie indelebili nella propria mente, come ad esempio dove eravate la prima volta che avete fatto l’amore o il primo giorno di scuola. Stesso discorso per i dischi che hanno segnato a lettere di fuoco la storia della musica rock e metal ed infatti io, a distanza di anni, ho ancora impresso quando vidi per la prima volta il video di “Welcome to the Jungle” dei Guns N’ Roses, estratto dal loro epocale debutto “Appetite for Destruction” del 1987 (ero a pranzo a casa di una mia amica). Ora a distanza di anni Geffen/UMe ristampa il loro primo album, aggiungendo molti demo ed esibizioni live disponibili fino ad oggi solo attraverso bootleg, dando in pasto al pubblico qualcosa da digerire mentre il gruppo finisce il lungo tour mondiale e si decide ad entrare in studio per dare un seguito al lontanissimo doppio album “Use Your Illusion I e II” (“Chinese Democracy” è un aborto che considero come un album solista di Axl).
 

Per capire la portata e l’importanza di “Appetite for Destruction” bisogna fare un salto temporale di ben trent’anni e tornare al Sunset Strip di LA intorno al 1985 e prendere qualche flyer dai ragazzi agli angoli delle strade che pubblicizzavano la propria band: Poison, Rough Cutt, Vixen ecc. I Guns N’ Roses sembravano catapultati da un’altra galassia dal momento che non avevano nulla a che spartire con le band glam metal del momento, loro erano pericolosi a partire dal look stradaiolo senza troppi fronzoli, ma soprattutto le esibizioni live infuocate dove Axl Rose era il mattatore assoluto della serata con le sue movenze androgine e la voce catramosa, accompagnato dal fido Slash alla solista, che sembrava uscito da un fumetto della Marvel e il silenzioso Izzy Stradlin vicino a macinare riff su riff (il cervello della band). Duff al basso e Steven Adler dietro le pelli completavano una formazione che sprizzava veleno ed energia animale da tutti i pori.
 

Nel corso degli anni molti hanno, erroneamente, attribuito la fine della scena glam di Los Angeles al movimento grunge di Seattle capitanato da Kurt Cobain e soci, ma invece la verità è che furono proprio i Guns in tempi non sospetti a far diventare vecchie e superate band tutte lustrini e lacca per capelli che proponevano una musica hard rock leggera e melensa. Axl e compagni si presentavano sul palco come dei veri fuorilegge con dei brani cattivi e sporchi, come pioggia acida che corrode prima i vestiti e poi la carne viva. Quando Slash attacca l’intro di “Welcome to the Jungle” a colpi di delay e parte in quarta con un riff che è vizioso e malato, la voce di Rose graffiante come non si sentiva dai tempi di Bon Scott, urla il ritornello che si avvolge sulle vostre gambe come un pitone. Sarebbe inutile citare i brani, che ormai conosciamo tutti a memoria a partire dall’inno “Paradise City” per finire con la semi ballad “Sweet Child O Mine”, diventata così famosa da essere vietata nei negozi di chitarre. La ristampa di questo gioiello immortale offre delle vere e proprie chicche che faranno la felicità dei moltissimi fan del gruppo californiano a partire da una versione al vetriolo di “Shadow of your Love”, per finire poi con una riuscitissima cover degli Stones (“Jumpin’Jack Flash”). Per non parlare poi degli estratti dal vivo del 1986, come la quasi punk “It’s So Easy” o la bellissima “Rocket Queen” con un assolo tutte pentatoniche di uno Slash strafatto di eroina.
 

Continuando nell’ascolto degli inediti una menzione particolare la meritano le sessioni acustiche in studio e specialmente “You’re Crazy” con un Axl ispirato, che sembra parlare a se stesso davanti a uno specchio (come dichiarato in un’intervista da Slash) o negli estratti live tratti da una loro esibizione infuocata al Marquee di Londra. La band macina su tutti i pistoni durante l’anthem “It’ s so Easy”, dove Axl spara un Fuck You! che infiamma la platea. L’amore viscerale della band per gli Ac/Dc si palesa nella cover di “Whola Lotta Rosie”, nella quale il pubblico intona il nome del folletto australiano Angus come nel celebre live dei canguri australiani del 1978. Riascoltando i primi demo registrati nel 1986 di Appetite si capisce come l’esperto Mike Clink (produttore fortemente voluto dato i suoi trascorsi con gli UFO) abbia iniettato una dose di energia nelle sessioni finali che sono poi finite sul disco. In questa esaustiva ristampa ci sono anche dei brani che sono poi stati inclusi nel seguente “Use Your Illusion”, come la terremotante “Back Off Bitch” o la lunga ballad “November Rain” (qui riproposta sia in versione con il piano che con la chitarra acustica). Oltre ai cavalli di battaglia del combo di LA ci sono dei brani inediti (solamente ascoltati su dischi pirata) come la cover di Elvis, “Heartbreak Hotel”, qui riproposta con piglio incazzato e rock’n’roll. “The Plague” è invece un brano spartano e si capisce che era ancora allo stato embrionale e che avrebbe avuto bisogno di un altro arrangiamento. C’è anche spazio per un paio di strumentali tra cui “Ain’t Going Down No More” e “New York Tune”. Rimane il fatto che sono dei brani che non aggiungono molto al valore intrinseco di questo capolavoro immortale.

Axl in un’intervista del tempo dichiarò che nessuno dopo il fulminante debutto dei Sex Pistols, “Never mind the Bollocks” si era spinto dove erano andati loro ed aveva ragione. “Use your Illusion” per quanto buono (fosse uscito solo un disco con i pezzi migliori sarebbe stato meglio), non è riuscito a raggiungere la ferocia e la fame disperata di successo che trasudava in ogni solco “Appetite for Destruction”.

Uno degli album hard rock da mandare nello spazio.

 

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