Recensione: As the World Burns – Complete Recordings 1984/1987

Di Stefano Ricetti - 15 Marzo 2023 - 8:34
As the World Burns – Complete Recordings 1984/1987
Band: Mayhem (USA)
Etichetta: F.O.A.D. Records
Genere: Heavy  Speed  Thrash 
Anno: 2023
Nazione:
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78

Nulla a che vedere con i black metaller norvegesi, questi Mayhem prendono vita nel 1983 in quel di Portland, Oregon, Stati Uniti. Non a caso, onde evitare fraintendimenti, al loro nome qui su Truemetal ho appiccicato l’estensione USA.

As the World Burns – Complete Recordings 1984/1987 da parte di F.O.A.D. Records racchiude in una confezione a doppio Lp Gatefold tutta quanta la discografia degli speed metaller americani, passati alle cronache nel 1987 per via del loro unico full length della carriera, quel Burned Alive che quantomeno a livello di copertina (particolarmente azzeccata e appariscente) non passò inosservato ai più, anche se va sottolineato che il prodotto riscosse adeguato consenso fra gli ultras del genere. Protagonisti di quell’avventura a stelle e strisce il batterista Steve “Thee Slayer Hippie” Hanford, mancato nel 2020 e successivamente approdato ai Poison Idea, il cantante Matt McCourt proveniente dai Wild Dogs, Craig Lower al basso e Eric Olson alla chitarra, anch’essi poi coinvolti negli stessi Poison Idea.

Non a caso, data la prematura dipartita di Hanford (era del 1969), l’uscita griffata F.O.A.D. è totalmente dedicata a lui. Steve si era infatti occupato di raccogliere tutto quanto il materiale disponibile legato ai suoi Mayhem e ne seguì personalmente le fasi di remix, mentre il remastering venne affidato a Ian Watts, godendo della totale approvazione degli altri membri della band che ne sancirono così l’ufficialità. Cosa viceversa non accaduta per quanto afferente l’uscita di Burned Alive lo scorso anno, su vinile da parte di una label tedesca. “Una release totalmente inutile”, come dichiarato dai restanti tre Mayhem.

Come da consuetudine legata all’etichetta piemontese, il prodotto si distingue per l’alta qualità espressa, che si estrinseca oltre che nel packaging anche nel libretto allegato, composto da sedici pagine formato 21 x 30 centimetri e tappezzato di flyer, manifesti di concerti, stralci da riviste e da giornali, foto, fogli di quaderno contenenti gli appunti dei vari componenti e i testi delle canzoni per finire con un’intervista a Steve Hanford.

A livello meramente musicale, i due Lp racchiudono: l’album Burned Alive del 1987 con l’aggiunta del brano “Tear Down the Walls” (Da Metal Massacre VI, 1985, con Nick Damis alla voce), il demo As the World Burns del 1985 e sette pezzi primigeni, ancora in modalità demo tape, che poi rielaborati sarebbero finiti sul full length.

Per poter riaffondare appieno nello spirito dell’epoca, nel periodo nel quale Burned Alive vide la luce, qui di seguito un articolo a firma Klaus Byron (RIP) tratto da Metal Shock numero 28 dell’agosto 1988 seguito dalla recensione dell’album così come apparsa sulle colonne della stessa rivista nel numero 17 del febbraio 1988. Autore: Renato Ferro.

 

IMMAGINE DI copertina apocalittica, teschietti in gran quantità, tutto il lavoro grafico interno scritto a mano, e quindi “accuratamente” trasandato, foto in bianco e nero buttate lì alla meno peg­gio; gli ingredienti che almeno esterior­mente contraddistinguono un qualsiasi disco speed and thrash non mancano… Meno male che ogni tanto si esula dai commenti contenuti ed in questo caso ci aiutano i Mayhem. Provo personal­mente un grande piacere quando mi ca­pita, spulciando tra le formazioni di nuove bands, di ripescare personaggi ormai dati per dispersi e, come già accaduto con Michael Furlong, il punto di aggancio con il passato è ancora una volta un gruppo che alcuni giudiche­ranno insignificante, eppure a me molto caro: Wild Dogs.

A riapparire “tra i vivi” è il vocalist e boss di quel combo, alias Matt McCourt, che nel 1983, quando uscì il de­but-album dei cani selvaggi, faceva bella mostra di sé in copertina, con qualche chiletto in più e qualche capel­lo in meno, ma soprattutto sfoggiava un look decisamente macho con tanto di berrettone stile teddy-boy. A distanza di cinque anni, il buon Matt si ripresen­ta con una silhouette più consona al personaggio, con i capelli elettrizzati e, badate bene, con lo stesso guantone borchiato che esibiva in quella cover. La grande carica fisica e vocale è lette­ralmente raddoppiata e grazie anche a questo, il nuovo ed agguerrito team dei Mayhem, proveniente dalla città di Portland, nell’Oregon, si è reso autore di un platter d’esordio quanto meno trascinante.

L’unica traccia su vinile, sinora esisten­te, risale al quinto volume della compi­lation telenovela Metal Massacre, uscito da più di tre anni, ma quelli erano deci­samente altri tempi. I compagni di cor­data di Matt, sono il chitarrista Eric Olson, che quando i ritmi serratissimi lo permettono, infila dentro pregevoli spunti solistici, il bassista Craig Lower ed il batterista Steven Hanford, potentissimo ed implacabile quando parte in doppia cassa.

La definizione Power/Speed è quella che meglio si adatta per descrivere il sound Mayhem, che si contraddistingue per alcune trovate ironiche assai divertenti e non è mortificato dalla solita voce catarrosa, perché il “vecchio” Matt McCourt ha veramente poco a che spartire con la nuova ondata di urlatori! La dop­pia cover del celeberrimo cavallo di battaglia motorheadiano Ace Of Spades è riproposta anche a 45 giri e suona tan­to di presa per i fondelli per tutte quelle bands che confondono l’Heavy Metal con la formula uno.

In determinati frangenti il Mayhem sound fa ballare anche i morti perché alla base di tutto resta un granitico roc­k’n’roll in grado di coinvolgere anche chi, come il sottoscritto, ha problemi di digestione ascoltando speed & thrash. Non manca neanche il finalino a sorpre­sa con un tributo ai Doors che va a stemperare un’atmosfera perennemen­te e pericolosamente incandescente. Annotiamo con piacere il ritorno di Mr. McCourt ed invitiamo gli scettici ad av­vicinarsi senza timore: it’s only Roc­k’n’Roll.

Klaus Byron

 

I MAYHEM AVEVANO già fatto parte del sesto capitolo di “Metal Massacre” nel 1985, e si erano fatti conoscere dai collezionisti di demos per alcuni nastri caratterizzati da un violentissimo repertorio iper-speed; più orientato verso il sound dei Motörhead che verso le vertigini accelerate del thrash metal odierno. E’ da premettere innanzitutto che il quartetto di Portland possiede una conoscenza invidiabile della tecnica strumentale, e questo ad onta di molti nefasti “produttori di caos” mascherati da heavy rockers indomabili.

Almeno, il cantante Matt McCourt proviene da un passato di qualche rilievo, essendo accreditato come lead singer nel primo album dei Wild Dogs, datato 1983; il resto della band non risente in alcun modo dell’anonimato, in quanto la realizzazione di questo “Burned Alive” denota una grande professionalità, intesa come attitudine non comune per una sonorità inframezzata di trovate gustosissime, al limite dell’ironico (ascoltate la riedizione a 78 giri di “Ace of Spades”, ribattezzata “White Mice on Speed”) ed introdotte in un contesto esecutivo preciso al cronometro. Per gli amanti delle sensazioni della libidine hardcore consigliamo di indugiare sulle tracks più verosimilmente “seriose”, “Burned Alive”, “Domination” e “Over the top”; mentre addirittura esilaranti sono songs dal piglio buffonesco quali “Couch Potato” o “6 is 9″, nelle quali è possibile riscoprire la demitizzazione di certi luoghi comuni tipicamente H.M., per mezzo di esecuzioni irriguardose e smodate.

Al di là dell’estrosità di tali rappresentazioni è indubbio che il solismo vorticoso di Eric Olson sia terribilmente efficace, mentre la base ritmica fornita da Steven Hanford e Craig Lower è di indiscutibile prestanza, soprattutto alla luce della maniacale versione di “Ace of Spades” (a velocità corretta…), lievitata in potenza senza perdere in suggestione. Consigliamo “Burned Alive” all’ascoltatore privo di pregiudizi, alla luce di una prova estremamente originale per un gruppo estraneo ad ogni convenzione.

Renato Ferro

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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