Recensione: Askhem

Di Daniele Balestrieri - 15 Maggio 2003 - 0:00
Askhem
Band: Bjarki
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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89

Sono molto felice di aver avuto la possibilità di valutare un disco come Askhem, perché non solo è un progetto praticamente inedito nella scena italiana, ma è anche una scelta coraggiosa e portata avanti con grande stile. Parliamo immediatamente di quanta cura e quanta passione questo ragazzo di Prato ha messo nel suo lavoro. Si tratta di un CD che più che un demo bisogna considerare un full lenght vero e proprio, raggiungendo un rispettabile totale di 48 minuti di musica e ben nove tracce. L’intero CD è stato costruito con cura decisamente maniacale. La copertina, minimalista e fredda, mi riporta immediatamente a quelle immagini molto simboliche di Burzum, sullo stile di Hvis Lyset tar Oss per esempio, che più che avere una bellezza artistica di per sé, comunicano delle emozioni con pochi pari. Il libretto, anch’esso realizzato con grande cura per essere un prodotto artigianale, rivela una storia tipicamente ispirata a una saga nordica e una serie di segnali che non fanno altro che confermare la grande passione di questo ragazzo per determinate figure nichiliste ed evocative della scena nordica, in particolare Burzum. Il libretto è privo di testi, e non certo perché è un demo realizzato con poca attenzione, ma perché l’intero album è completamente strumentale. In un paese decisamente poco progressista come il nostro una scelta del genere è immancabilmente poco popolare, e può destare pareri contrastanti. Ma come fare, è impossibile non essere trascinati da questo Askhem. Già il nome, appena lo vidi, mi ha evocato Aske di Burzum, forse per via dell’assonanza, e mi aspettavo un qualcosa di simile a quel mostruoso pilastro del Black Metal, e invece mi sono ritrovato in mano qualcosa di spaventosamente rivoluzionario per il nostro mercato, un vero e proprio omaggio strumentale a una cultura nordica selvaggia che sta praticamente morendo, la cultura che ha portato Varg Vikerness a ideare Hlidskjalf, o che ha portato mortiis a creare Fata Morgana.

Ciò che vi ritroverete tra le mani, oltre a un esperimento coraggioso, è un nove tracce pomposo, interamente costruito sulle tastiere e quindi ricco di atmosfera, il punto focale dove vengono giocate tutte le carte. Bisogna ammettere che non è facile estrapolare lo spirito del nord e incanalarlo in semplici brani senza lyrics a supporto, specialmente se non si vive al nord e non si è parte di una certa società. Ammetto di avere abbastanza esperienza per garantirvi che il nostro Varghar Necron è riuscito in pieno nel suo intento. Le tracce sono molto varie, molto descrittive nel loro continuo movimento, ora lento e cadenzato, ora atmosferico, quasi come indugiasse alla luna, e ora pomposo, quasi barocco. Vorrei segnalare in particolari due tracce che parlano davvero da sole, ovvero “Fading in Moonlight of Velvet” e “Symphony of Northen Skyespart 1, due grandi track in cui si legge pathos drammatico tipicamente nordico unito a un crescendo molto medievale nella sua struttura armonica. Non nego di esserci tornato più volte sopra, con grande interesse, giacché riesce a evitare una delle peggiori etichette che gli si potrebbe affibbiare, ovvero che “diventa presto musica di sottofondo”. Per fortuna le tracce sono varie, e la loro grande descrittività tiene lontana la noia se non in alcune parti in cui le tastiere indugiano troppo, o viene ripetuto uno stesso fraseggio senza abbastanza varianti per troppo a lungo.

Per concludere, mi sento di dire “bravo” a Necron. È stata una prova coraggiosa, e ben riuscita, e che mi lascia davvero sperare per il futuro, anche se dovrà combattere contro la nicchia nella quale si è volontariamente rinchiuso, e che non gli concederà molto spazio, perché semplicemente l’Italia non è pronta a cose del genere. Ma personalmente sono pronto a supportare di persona il suo lavoro, e spero che chi apprezza la musica fatta con il cuore, con la passione, con uno spirito raro da scovare in molti musicisti, possa riconoscere il potenziale di questa piccola gemma, peculiare nella musica, splendente nel suo genere.

Ne consiglio l’ordine? Non so che dire. Ricordate che è un album strumentale, che ha un pesante retrogusto MIDI, ma è sufficientemente godibile anche per i non-burzumisti. Chi cerca qualcosa di convenzionale si troverà agli antipodi. Qui si parla di atmosfera, a tratti un po’ grezza, ma di un progetto che, ripeto, deve essere portato avanti. Il voto è per il suo genere, non è un voto assoluto. Il voto è per cosa è riuscito a fare in questo ambiente musicale. Chi non ama queste cose può anche ignorare tutta la recensione. Gli amanti di Hlidskjalf e di quel piacevole nichilismo freddo, un po’ malevolo, ma decisamente evocativo, tipicamente nordico… contattino subito Varghar Necron. Con un po’ di fortuna sentiremo ancora parlare di lui.

 

Contatti:
Luca Grimaldi
Via de’Castellani 23
59100 Prato, Italy
email: askhem@supereva.it

TRACKLIST:

1 – Across the Wide Open Seas
2 – Hvit
3 – Som of the dream’s thief
4 – The Curse
5 – Fading in moonlight of Velvet
6 – Fayries Whispers During the Night of Yule
7 – Simphony of Northen Skyes part 1
8 – Tune of Doom
9 – Simphony of Northen Skyes part 2


 

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