Recensione: Astral Journeys Pt. II : Dissolution

Di Daniele D'Adamo - 1 Giugno 2025 - 8:50
Astral Journeys Pt. II : Dissolution
Band: Eldamar
Genere: Black 
Anno: 2025
Nazione:
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80

«I Must Be Dead Because This Feels Too Good to Be True.
The Living Body Remains, But As an Empty Shell As I Pass Through the Veil the World Fades Away»

Quella sopra, breve prosa di un malinconico stato d’animo, nasce dall’unione dei titoli dei sei atti che compongono “Astral Journeys Pt. II : Dissolution“. Album che è la nuova nonché seconda parte di un’opera divisa in due frammenti distinti, frutto dell’espressione artistica degli Eldamar; i quali altri non sono che il progetto solista del polistrumentista norvegese Mathias Hemmingby.

Astral Journeys Pt. II : Dissolution“, quarto full-length in carriera degli Eldamar, segue a distanza di un anno soltanto “Astral Journeys Pt. I : Creation”. Una suddivisione che, se non rilevante a livello musicale, indica un netto spostamento delle tematiche verso il racconto di esperienze extracorporee e approfondimenti esistenziali, invece che di pregressa narrazione con soggetti quali la magia, la natura, l’etenismo.

La musica… “Astral Journeys Pt. II : Dissolution” è l’arte dell’atmospheric black metal nella sua manifestazione più pura, immersa a tratti in freddi laghi figli della visionarietà della musica ambient. Un meccanismo, questo, aiutato dall’osservazione degli splendidi, surreali dipinti di copertina realizzati dal maestro polacco Mariusz Lewandowski.

La musica, si accennava. Alimentata da potenti singulti melanconici, si sviluppa con un andamento lento, concepito per entrare nella carne, nelle ossa, nell’anima. I delicati movimenti delle tastiere attivano immediatamente la sezione cerebrale deputata ai sogni. Ma non quelli notturni, che a volte, senza controllo, si trasformano in incubi. No, sogni a occhi aperti, vaganti in un’atmosfera che li rende liberi di approfondire il soggetto scelto dalla mente nel viaggio che, da “Akt III; I Must Be Dead…“, porta a “Akt IV; …the World Fades Away“.

Nella costruzione dell’impalcatura portante di uno stile marcatamente originale, Hemmingby è coadiuvato da alcuni musicisti ospiti, fra i quali non si può non menzionare Katrine Sofie Neple, meravigliosa creatura cantante in “Akt III; …Because This Feels Too Good…“. La melodia è morbida, delicata ma avvolgente quasi come uno stretto sudario, e su di essa si appoggiano linee vocali celestiali accompagnate, oltre che da un triste violino, da una chitarra distorta con il classico ronzio zanzaroso tipico di alcuni sottogeneri black.

Non sono poi molti, i momenti in cui emerge la forza e la potenza del ridetto black metal. Anzi, sono preponderanti i segmenti in cui il sound assume carattere di mestizia, declinando verso le emozioni più profonde dell’animo umano. Rese comunque vive da disperati passaggi in screaming, quasi a dimostrare la vacuità dell’Uomo di fronte alla Natura, per tornare un po’ indietro nel tempo. Incapace, spesso, di non saper leggere in se stesso. Allora, canzoni come “Akt III; …to Be True” vengono in aiuto alla persona creando l’atmosfera giusta per far sì che, finalmente, possa sondare i sentimenti nascosti di cui s’è detto più sopra.

Gli Eldamar non compongono in maniera lineare, tutt’altro. Le singole tracce, pur non essendo particolarmente complesse, sono piuttosto strutturate, ricche di cambi di tempo e di toni, e più generalmente piene di musica. Classica, anche, resa viva da ampie, poderose, stupefacenti orchestrazioni dal sapore totalmente lisergico (“Akt IV; The Living Body Remains, But As An Empty Shell…“). Così, fissando l’idea di elaborare le song in maniera articolata, dal talento cristallino di Hemmingby nasce una suite (“Akt IV; …As I Pass Through the Veil,…“) che, seppur fedele al leit motiv di base, muove le sue sfumature a mò di tentacoli, riempiendo di note lo spazio vuoto appena fuori l’esosfera. O, per meglio dire, gli incavi inerti sparsi qua e là nel pensiero che scaturisce da un cervello voglioso di espandere le proprie percezioni interne.

Per poi volare, nella completezza, in alto fra oceani e vette innevate e quindi, infine, morire.

Daniele “dani66” D’Adamo

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