Recensione: At Night We Pray

Di Marco Donè - 28 Marzo 2021 - 0:01
At Night We Pray
Band: Nightfall
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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70

Dopo otto lunghi anni di silenzio, gli ellenici Nightfall tornano in scena con un disco tutto nuovo: l’attesissimo “At Night We Pray”. La formazione capitanata dal bassista Efthimis Karadimas è uno dei nomi storici della scena greca, assieme a Rotting Christ, Septic Flesh, Varathron e Necromantia. Attivi dal lontano 1991, i Nightfall hanno dimostrato una spiccata ecletticità nella propria proposta. I Nostri hanno infatti mosso i primi passi nell’universo death-black; un death-black molto personale che, oltre alle tipiche melodie proprie della scuola ellenica, faceva ampio uso delle tastiere. Dopo il seminale “Athenian Echoes” i Nightfall iniziarono un percorso di sperimentazione, che li portò a prendere le distanze dal sound delle origini. I Nostri vennero affascinati da quel movimento che stava prendendo piede nel Vecchio Continente, che mescolava dark metal e goth rock, sfornando l’affascinante “Diva Futura”. Una svolta che spiazzò, e non poco, i fan della band. Con l’avvento del nuovo millennio Karadimas e compagni pubblicarono altri due dischi dalla forte componente goth, due album che vedevano alle pelli un certo George Kollias. Dopo questi due capitoli, i Nightfall virarono verso un melodic death pomposo, di chiara derivazione nordeuropea, pubblicando in successione, nel 2010 e nel 2013, “Astron Black and the Thirty Tyrants” e l’altalenante “Cassiopea”. Cosa aspettarsi quindi dal nuovo “At Night We Pray”? L’ennesima sperimentazione o il prosieguo del percorso iniziato con il già citato “Astron Black and the Thirty Tyrants”?

Beh, basta guardare la copertina del disco e osservare il logo con cui la band decide di tornare in pista per comprendere quali siano le intenzioni della formazione di Atene. Sì, perché con “At Night We Pray” i Nightfall rispolverano il logo degli esordi, mettendo subito in chiaro che con questo nuovo lavoro hanno deciso di tornare alle origini. “At Night We Pray” è infatti un album di death metal, in cui i Nostri mescolano melodie del Nord Europa (verrebbe da dire di reminiscenza Hypocrisy) con soluzioni di chiara matrice ellenica. L’album si rivela variegato, con delle aperture maestose nei ritornelli, in cui Karadimas – seguendo le linee guida della scuola greca – ricorre all’utilizzo di sovraincisioni di più tracce vocali, donando maggior pathos ai chorus.
In questo ritorno discografico, inoltre, i Nightfall si presentano con una line-up da paura: oltre al bassista-cantante – e mastermind – Karadimas, notiamo il ritorno in formazione del chitarrista Michalis Galiastos, che aveva suonato nei primi sei dischi della band di Atene. All’altra chitarra vediamo il rientro di Kostas Kyriakopoulos, attivo con Karadimas nei The Slayerking. Alla batteria troviamo il fenomenale Fotis Benardo, nome di spicco della scena greca, attivo, tra gli altri, con i Septic Flesh del periodo magico, quelli da “Communion” a “Titan”. E il suo lavoro alle pelli si sente, eccome! Oltre a regalare virtuosismi e donare grande dinamica alle tracce, il suo drumming permette ai Nightfall di non porsi alcun limite. E quando ricorre al blast ci troviamo al cospetto di un autentico bombardamento in musica. L’inizio di ‘Meteor Gods’ parla chiaro.

Con queste premesse è giusto aspettarsi fuoco e fiamme dal nuovo “At Night We Pray”. Tutto bene, quindi? Sarebbe bellissimo poter rispondere con un bel “sì”, di quelli convinti. Ci troviamo invece costretti a utilizzare il classico “nì”, per descrivere un album che convince, ma non come avrebbe dovuto e potuto. Sì, perché in “At Night We Pray” i Nightfall mettono tante, forse troppe idee sul piatto e non sempre riescono a ottenere il giusto amalgama. I Nostri danno il loro meglio quando puntano sulle melodie, in particolare quando danno ampio spazio a tutte quelle soluzioni riconducibili alla più volte citata scuola ellenica, sia dal punto di vista musicale, che vocale. In questi frangenti le composizioni risultano coinvolgenti, trascinanti, riuscendo sempre a colpire e tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore. Quando invece decidono di dare maggior spazio a soluzione tipiche del death metal, le tracce risultano prevedibili. Ben suonate e arrangiate, ma prevedibili. ‘Darkness Forever’ è un esempio lampante di quanto appena detto. E potremmo citare anche ‘Witches’, il cui inizio, basato su classici fraseggi death-doom, risulta assai prevedibile. La canzone si risolleva e cambia completamente anima da metà del suo minutaggio in poi, quando i Nightfall ricorrono a partiture più melodiche, di stampo death-black mediterraneo, utilizzando delle aperture maestose nelle linee vocali. La seconda parte di ‘Witches’ potrebbe essere eletta come uno dei punti più ispirati dell’intero disco. Se tutta la canzone avesse puntato su questa direzione… E la stessa dinamica la incontriamo anche in ‘Temenos’, altra traccia che inizia con un classico e prevedibile death-doom. La canzone si trasforma ed evolve nella seconda parte, diventando un pezzo di rara bellezza.
La voglia di mettere troppa carne sul fuoco gioca così un brutto scherzo ai Nightfall. Se i Nostri fossero riusciti a focalizzare di più le idee, siamo quasi sicuri che l’album avrebbe raggiunto livelli stellari. Un vero peccato, perché quando il combo greco sprigiona il proprio estro e la propria personalità la qualità delle composizioni decolla vertiginosamente.

Come definire, quindi, “At Night We Pray”? Come un album piacevole, valorizzato da un suono curato e potente, frutto dell’ottimo lavoro svolto in fase di missaggio e produzione (lo zampino di Jaime Gomez Arellano è evidente). A fine ascolto, però, il disco lascia un po’ di amaro in bocca: l’impressione che avrebbe potuto essere molto di più di quanto sia in realtà, è davvero forte. Nelle battute conclusive dell’album, poi, incontriamo anche due tracce dalle forti tinte dark metal. Composizioni di qualità elevatissima se prese singolarmente, ma che spiazzano se prese nella globalità dell’album. Diciamo che con “At Night We Pray” i Nightfall non hanno seguito l’esempio dei produttori di vini doc: se vuoi produrre del vino buono e di qualità, i grappoli presenti su ogni singola vite devono essere pochi, per permettere all’uva di maturare e sviluppare tutte le sue proprietà. Certo, se vengono lasciati troppi grappoli sulla vite, l’uva maturerà ugualmente. Avendo più uva a disposizione si potrà fare anche più vino. Il prodotto finale sarà sicuramente buono ma non potrà mai competere con la qualità del vino di chi ha deciso di avere pochi grappoli sulla propria vite. Questo è un po’ quello che è successo ai Nightfall con “At Night We Pray”: un disco bello ma che avrebbe potuto essere molto di più.

Marco Donè

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