Recensione: At the Maw of Ruin

Di Matteo Pedretti - 19 Dicembre 2020 - 7:00
At the Maw of Ruin
Band: Green Druid
Etichetta: Earache Records
Genere: Doom  Stoner 
Anno: 2020
Nazione:
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80

I Green Druid si formano a Denver, Colorado, sul finire del 2014. L’anno successivo pubblicano un EP che attira l’attenzione della Earache Records che, dopo averli messi sotto contratto, dà alle stampe il full lenght “Ashen Blood” (2018), risultante dalla somma del succitato EP e tre nuove tracce. Il debut album catalizza immediatamente l’attenzione degli ambienti underground: i pezzi che lo compongono sono lunghe cavalcate Stoner/Doom, ben congeniate ed eseguite, infarcite di riff potentissimi e di psichedelia. Tuttavia il disco non è privo di ingenuità: la durata dei brani è eccessiva in rapporto alle idee sviluppate e alcuni passaggi richiamano troppo marcatamente il sound di mentori come Electric Wizard e Sleep.

Luci e ombre dunque, che mettono “At the Maw of Ruin” (anch’esso uscito su Earache Records) nella scomoda posizione di dover chiarire se siamo di fronte all’ennesimo gruppo tecnicamente dotato, ma privo di una propria visione artistica, saltato sul carrozzone dello Stoner/Doom sulla scia del revival che il genere ha conosciuto nell’ultima decade o se si tratti, invece, di una proposta di valore.

Inutile girarci intorno: con questo disco i Green Druid hanno colpito nel segno. Difficilmente ci si sarebbe potuti aspettare una crescita in grado di segnare un cambiamento di rotta tanto repentino come quello che il combo di Denver ha attuato negli ultimi due anni, mettendo a punto sei lunghe composizioni che hanno un che di Progressive, non a livello stilistico, quanto nell’ articolata combinazione dei diversi layer che ne definiscono la struttura. Si tratta infatti di pezzi non lineari, con vari crescendo, interludi e cambi di registro vocale, tempo e genere, ferma restando la solenne “venerazione del riff” che rimane un elemento distintivo dei Nostri. In controtendenza rispetto a diverse formazioni Stoner/Doom che prediligono un gusto retro, i Green Druid hanno optato in questa occasione per una produzione moderna ed efficace, capace di riprodurre fedelmente il dirompente impatto sonoro della proposta.

“At the Maw of Ruin” parte all’insegna dell’intensità. L’iniziale “The Forest Dark” e la successiva “End of Man” sono elaborate e rocciose, strutturate su di una miriade di riff, con divagazioni psichedeliche a dilatarne i suoni e linee vocali che, seppur prevalentemente pulite, non mancano di assumere la forma di feroci growl nei passaggi Sludge. “Haunted Memories” e “Desert of Fury/Ocean of Despair”, della durata di tredici minuti ciascuna, sono i passaggi migliori. Con avvicendamenti organici di ritmi e atmosfere, passano senza soluzione di continuità da momenti Post rock a rasoiate Metal (l’inizio della seconda ha un sapore decisamente High On Fire), da derive Sludge a interludi psichedelici, fino ad accenni Post Black (“Haunted Memories”).

Nella prima parte di “A Throne Abandoned” strofe ipnotiche si alternano a ritornelli intensi e ipersaturi, ma melodici. Il mood è interrotto da una lunga sezione strumentale dall’andatura trippy, che conduce al finale devastante. Nella conclusiva “Threads” una voce malinconica si dispiega su di una calma sezione strumentale; gli occasionali appesantimenti Doom e le urla del finale pieno di pathos non cambiano la sostanza di quello che rimane fondamentalmente un pezzo Alternative rock.

L’immagine di copertina è opera del marchigiano Paolo Girardi, che ha prestato la sua arte oscura e misteriosa a band del calibro di Manilla Road, Bell Witch, Witchsorrow e Dark Quarterer, solo per citarne alcune. Per l’occasione l’illustratore rappresenta una foresta immersa in un’innaturale luce rossa, dalle tonalità apocalittiche, che fa da sfondo a un “re-demone” dalle feroci fauci spalancate che siede su un trono di teschi. Sono numerosi i richiami all’immaginario evocato dalle canzoni, dalla parola maw (fauci) presente nel titolo dell’album al trono di “A Throne Abandoned”, ma è sufficiente scorrere la tracklist per scorgerne altri.

Sebbene sia prematuro esprimere un giudizio definitivo basandosi sul secondo album di una band, con “At the Maw of Ruin” i Green Druid dimostrano di essere una band intelligente, che ha saputo guardarsi dentro con l’obiettivo di superare i propri limiti e valorizzare le sue qualità (su tutte la voce davvero ben modulata). Bene così allora, perché il prossimo passo sarà forse quello più importante e impegnativo …

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