Recensione: Attila

Di Elisa Tonini - 5 Ottobre 2020 - 8:30
Attila
Band: Aldaspan
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2011
Nazione:
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72

Il detto “tutto il mondo è paese” può essere applicato anche nel contesto musicale: Nurzhan Toishy, leader e fondatore dei kazaki Aldaspan trovò delle analogie tecniche tra i kui (composizioni strumentali locali) suonati con la dombra e le scorribande serrate e potenti di James Hetfield, Kerry King e Max Cavalera. Nel 1988 pensò di creare una versione elettrica dello strumento e fu un processo lungo, concretizzato solo nel 2010. La band – il cui nome indica una pesante sciabola usata contro i soldati corazzati e cavalleria – esordì un anno dopo con il presente “Attila”.

In quest’album la base fatta di dombra-ritmica, dombra-basso, dombra-solista e batteria consiste principalmente di schegge thrash/speed, più o meno sfumate da arrangiamenti alternative rock/metal, in certi casi non lontani dai System of a Down. Emergono occasionali risvolti Black Sabbath-iani (specialmente nella bellissima “The knowledge”) ed istinti heavy/hard rock, evidenziati da certi assoli di dombra vicini agli AC/DC.

Қыркүйек | 2017 | zhaniyakuanyshkyzy
Parte fondamentale del sound è il lato folk, definito in modo più o meno evidente dalle vivaci melodie elettriche, nonché volto spesso  a reinterpretare e ad integrare in toto o in parte i kui della propria terra, similmente ai connazionali Ulytau; come loro hanno realizzato un ottimo ri-arrangiamento di “Adai” di Kurmangazy, composizione rinchiusa nel battagliero “Duel”.
Da non dimenticare poi certi interventi di jew’s harp ed un altrettanto occasionale e favoloso throath singing, in grado di espandere il mondo immaginativo del disco – contrariamente al prevalente cantato ritmico grezzo -.  La battagliera e tagliente incursione del throath singing e del jew’s harp è determinante a scolpire il fascino fugace di “The legend of Aqsaq Qulan” ma in quanto ad ispirazione vincono soprattutto la drammatica ed incendiaria title-track – che include dei solenni e riuscitissimi cori in pulito – l’animo terremotante di “Kultegin” e l’entusiasmo aggregante ma tosto della bonus-track “Aldaspan”. Quest’ultimo è il pezzo più alternative ed “easy” dell’opera, insieme alla più riflessiva “Dying noble”.

In “Attila” vi si percepisce un intento sperimentatore ed una certa sfida verso il mondo rock/metal occidentale, similmente agli Apocalyptica con i violoncelli. Le dombra elettriche non hanno nulla da invidiare alle chitarre occidentali, aggiungendo uno spessore vibrante e pieno tipico della dombra classica. Ruvida ma contemporaneamente buona la produzione, che esalta il corposo dombra-basso. L’idea di Nurzhan (tra l’altro ideatore dello zhetygen elettrico suonato dai connazionali Sharapat) può richiedere diversi ascolti ma – al netto di certi passaggi forse un filino troppo canonici nelle prime tre canzoni- in sé è validissima e personale. Gli Aldaspan ci offrono un disco colmo di sottigliezze e di uno spirito virtuoso non indifferente. Un album che potrebbe incuriosire gli ascoltatori più coraggiosi delle sonorità “classiche” e chi ama il folk metal in tutte le sue forme.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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