Recensione: Jumyr-Kylysh

Di Elisa Tonini - 30 Agosto 2020 - 7:00
Jumyr-Kylysh
Band: Ulytau
Etichetta: ABK Records
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2006
Nazione:
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85

I kazaki Ulytau (“La grande montagna”) nascono nel 2001 come progetto ideato dal produttore Kydyrali Bolmanov con l’intento di fondere musica occidentale ed orientale assieme ad arrangiamenti di musica classica di compositori locali ed internazionali. Elementi chiave della proposta sono le chitarre, il violino e la dombra – strumento nazionale kazako -. Nel 2006 venne rilasciato il presente full-lenght “Jumyr-Kylysh”, chiamato “Two Warriors” nell’edizione tedesca del 2009 ed uscita tramite iMusic Records.

Le volontà sopra descritte si traducono in dieci brani strumentali – a parte qualche rarissimo e fuggente vocalizzo simil-lirico – di media durata, eseguiti con assoluta perizia tecnica e, contemporaneamente, grandissima naturalezza.
La virtuosa base potrebbe essere paragonata a certe cose di Steve Vai nell’intento più estroso delle chitarre e degli effetti sonori ma vi è anche un raffinato animo neoclassico, in un certo senso affine ai Rondò Veneziano.
Quest’ultimo è manifestato pienamente dal violino, strumento dall’aura decisamente occidentale (diversamente dal locale kobyz) eppure mai in contrasto con l’ambiente kazako. L’immaginario folk è rappresentato dalla dombra, elemento caratterizzato dal ritmo secco ma pieno che accentua spesso insieme al basso, delle ipnotiche armonie.
Si potrebbe quindi pensare che violino e dombra incarnino gli antipodi culturali mentre le chitarre definiscono un territorio “neutrale”, acquisendo un “colore” diverso a seconda delle necessità. Tutti e tre gli strumenti si lanciano volentieri in parti soliste oppure in una travolgente danza corale.
Ciò che ne risulta sono brani dall’aria generalmente polverosa, calda, solare ma anche eterea e nostalgica. Contemporaneamente convive uno spirito selvaggio e senza compromessi legato ad alcuni kui, composizioni strumentali della tradizione popolare. L’iniziale e brulla “Adai”, opera del compositore Kurmangazy  ne è l’esempio più noto . Ci sono anche composizioni di autori europei quali Mozart, Bach e Vivaldi, rispettivamente con “Turkish March”, “Toccata and Fugue” e “Winter”, tutte realizzate splendidamente nel loro ri-arrangiamento moderno. Quest’ultima, aggraziata e tempestosa, colpisce particolarmente per gli assoli di violino, vero protagonista del pezzo mentre “Turkish March” si fa più avventurosa nel suo approccio funky e nella sua improvvisa gradazione aggressiva ed oscura, per poi rischiararsi in arpeggi di chitarra a tratti quasi spagnoleggianti. Anche “Yapyr-Ai” – sorta di power ballad – è impreziosita da arrangiamenti caldi, quasi latini, racchiusi però in un contesto rilassante eppure graffiante ed imprevedibile. “Ata Tolgauy”invece è fantastica nel suo animo sognante e romantico ma con un cuore dinamico e ruggente.

In termini di destrezze strumentali, probabilmente il brano più equilibrato dell’opera è l’indomabile “Teriskakpai”, splendida nel suo battito tecnologico. Vicina nell’animo ( e vicina a “Turkish March” per le chitarre funky) le è “Kurishiler”. La title-track “Jumyr-Kylysh” ammalia invece per il dialogare della dombra e delle chitarre, incorniciati dagli eleganti interventi di violino. Un brano permeato da una tensione che pare correre sul filo del rasoio, emozione sfumata nel vocalizzo finale.
“Kokil” si distingue dalle altre canzoni per essere la ballad del disco e forse uno dei migliori pezzi dell’intera opera, grazie al potente e dissonante conversare tra il basso e la dombra.

Con “Jumyr-Kylysh” gli Ulytau propongono un album eccellente nel loro genere, ottimamente prodotto ed a suo modo trasversale nel contenuto. Chi – come la sottoscritta – non va particolarmente matta per le cose puramente strumentali, potrebbe trovare in questo lavoro una bellissima sorpresa. Negli Ulytau non si sente la mancanza del cantato, per altre opinioni ci sono i loro connazionali più recenti Tigrahaud, Aldaspan e Sharapat. Una band assai ricca di sfumature e dettagli da scoprire e riscoprire qualunque sia il proprio genere preferito.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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