Recensione: Back to the Noose
Il tempo per i prodotti preconfezionati, che cercano di colpire l’ascoltatore proponendosi come ‘originali’ senza però avere anima è finito.
Troppe release mediocri hanno inondato (e stanno inondando) il mercato contando su un’immagine di forte impatto, che però rappresenta solo il riflesso alterato e patinato di una sostanza insignificante.
Non staremo qui a far nomi, ma tanto in campo thrash, quanto in quello death, come in altri, le nuove leve stanno incontrando sempre più difficoltà a confrontarsi con il dilagante entusiasmo per dischi di band rinate dalle loro ceneri, ma di cui un po’ tutti sentivamo la mancanza. Perchè? Perchè molto spesso manca qualità! Gli Swashbuckle rientrano in pieno nella suddetta categoria: non solo non reggono il confronto con il passato, ma nonostante puntino tutto sull’ “originalità” – non solo nel sound ma anche nella scenografia (i nostri, come evidente anche dall’ artwork e dalle foto promozionali, si ispirano ai pirati)- questa risulta costruita e poco spontanea e si ha la sensazione che questo album sia tutto fumo e niente arrosto.
“Back to the Noose“, seconda fatica discografica della carriera, è un disco che mescola thrash-core e death metal ritoccando il tutto con intramezzi folk caraibici eseguiti con strumenti rispolverati ad hoc per l’occasione. Le premesse e il divertente artwork inducono curiosità, che però non viene assolutamente soddisfatta dal risultato finale: una legnosa accozzaglia di brani sconnessi gli uni agli altri che rendono l’ascolto discontinuo, indeterminato e asettico.
Il disco manca completamente di personalità in quanto le trame sviluppate altro non sono che tanti riff (tra l’altro poco riusciti), accostati gli uni vicino agli altri senza una connessione logica, come in un singhiozzo continuo. Se le intenzioni del trio erano quelle di colpire gli istinti festaioli degli ascoltatori con un sound immediato e potente come una cannonata dei vascelli pirateschi a loro tanto cari, è doveroso ammetterlo, hanno toppato: sembra piuttosto di essere investiti da schegge di un sound impazzito senza una traccia logica che ne permetta la lettura. Il quid in più poteva esser costituito dai ben arrangiati stacchi folk caraibici che fanno capolino tra i brani, ma nel complesso tendono a render l’ascolto ancora più frammentato e patetico nonostante, paradossalmente, risultino l’idea più vincente dell’intero lotto composto.
La produzione a questo punto diventa un aspetto secondario. Buona nel complesso, pulita nelle forme acustiche, non è, ahimè, in grado di elevare una valutazione che nel complesso si attesta insufficiente.
La domanda sorge spontanea allora: album di musica estrema o spunto per qualche jingle da pubblicità dei prodotti più dissetanti dell’estate in corso? Alla luce dei fatti sarà forse più facile cavarsi qualche soddisfazione usando gli stacchetti caraibici in TV piuttosto che on-stage o nell’impianto stereo stereo, dove le aspettative dovrebbero esser ben altre.
In definitiva: le idee ci sono, potenziale pure, ma per saccheggiare istinti ed emozioni ci vuole qualcosa di più sincero, anche se dietro gli strumenti ci sono i soliti, falsi, balordi e furbi pirati…
Nicola Furlan
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Tracklist:
01 Hoist the Mainsail
02 Scurvy Back
03 Back to the Noose
04 Cloudy With a Chance of Piracy
05 We Sunk Your Battleship
06 Rounds of Rum
07 Carnivale Boat Ride
08 Rime of the Haggard Mariner
09 Cruise Ship Terror
10 No Prey No Pay
11 La Leyenda
12 Splash-N-Thrash
13 The Grog Box
14 The Tradewinds
15 Attack
16 Peg-Leg Stomp
17 Whirlpit
18 All Seemed Fine Until
19 It Came From the Deep
20 Shipwrecked
21 Sharkbait
Line-up:
Admiral Nobeard: Voce, basso
Commodore RedRum: Chitarra
Captain Crashride: Batteria