Recensione: Beneath the Blazing Abyss

Di Daniele D'Adamo - 26 Aprile 2024 - 0:00
Beneath the Blazing Abyss
Band: Baron
Genere: Death 
Anno: 2024
Nazione:
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78

Per i Baron, nati nel 2015, è il momento del debut-album: “Beneath the Blazing Abyss”.

Per esso, lo stile adottato è la classica miscela death/doom, almeno a detta delle note biografiche che, come tante altre, paventano il miscuglio citato come un genere a sé stante. Il che non è vero poiché o è death, o è doom; almeno a parere dello scriba. In questo caso specifico si può parlare tranquillamente della prima delle fogge musicali menzionate, con abbondanti rallentamenti in cui si scava più a fondo nell’animo umano per esplorarne le peculiarità, posto ci siano.

Al di là delle definizioni che, si sa, lasciano il tempo che trovano, è importante osservare in prima battuta che il sound elaborato dai finnici è semplicemente monumentale. Sia quando vanno a trecento chilometri l’ora, sia quando decelerano sino quasi a fermarsi. Il che probabilmente è la principale caratteristica di un combo votato all’aggressione musicale in occasione dei brani più veloci, in antitesi alla pace dei sensi che si ritrova in quelli più lenti.

Come seconda annotazione è bene rilevare che, come sempre più spesso accade oggigiorno, è insita nell’LP una cospicua componente atmosferica; che esplode nella lunga, articolata e ben riuscita suite che risponde al nome di ‘Bound to the Funeral Pyres’. In essa, peraltro, è chiaramente percepibile la filosofia artistica che è alla base della struttura musicale dell’LP stesso. E cioè il già menzionato incrocio fra segmenti rapidi, convulsi, rombanti, e istanti in cui è piacevole chiudere gli occhi per gustare le ardite melodie composte con evidente naturalezza (‘At the Dawn of Damnation’).

Tommi Astala, oltre a esibirsi alla chitarra acustica, è cantante dal growling profondo, di quello che non ammette compromessi, che fa paura solo ad ascoltarlo per le profondità abissali dell’etere che raggiunge a mò di batiscafo, tanto per rendere l’idea. A lui è affiancato Jerry Tamminen che, oltre a essere chitarrista, presta la sua ugola riarsa alle linee vocali, rendendole varie e imprevedibili. Non solo, fungendo da programmatore per tutti gli effetti speciali che si odono qua e là sparsi nell’album (‘…Swallowed by Fires Beneath’, brano totalmente ambient).

Realizzando così quell’alone di inatteso al pari di quello sopra menzionato. Il che è un punto a favore di non poco conto, perché mantiene alta l’attenzione dei fruitori, costretti – si fa per dire – a restare concentrati per via del fatto che ciò che accade adesso non è affatto detto che accada anche dopo. Tutto questo, oltre ad attirare la curiosità dei fan del metal estremo, dona una longevità non comune all’intero lavoro.

Stranamente, inoltre, gli effetti programmati non sono concepiti per creare il solito mood tenebroso e oscuro quanto, bensì, a proiettare con la sua visionarietà la mente entro un’enorme astronave in cui deambulano uomini del futuro, indaffarati nei loro compiti prima di una missione spaziale. Macchine. Industrial. Ecco, allora, ciò che rende davvero notevole “Beneath the Blazing Abyss”. La varietà assoluta nell’immaginare prima e scrivere poi canzoni del tutto diverse le une dalle altre ma strettamente legate allo stile che a questo punto si potrebbe definire unico.

Stile assai adulto, maturo, che non presenta sfilacciamenti o tentennamenti a causa di una precisa idea di ciò che si vuole costruire. Ovvero, un qualcosa di caleidoscopico ma che, da qualsiasi punto di vista lo si osservi, presenti sempre la stessa sagoma. Tant’è, giusto per citare un esempio, che nell’opener-track ‘Primordial Possession’, in cui si alzano i BPM grazie ai poderosi blast-beast di Juuso Hämäläinen, si può udire un perfetto e violentissimo assolo in cui le due chitarre si scambiano continuamente i ruoli alla maniera dell’heavy o del thrash. Una chicca che, nel death metal, non è così semplice trovare.

Del resto, alla fine, si sa: difficilmente le band provenienti dalla penisola scandinava sbagliano il colpo. E ancora una volta il teorema è dimostrato. Stavolta dai Baron e dal loro “Beneath the Blazing Abyss”.

Daniele “dani66” D’Adamo

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