Recensione: Best Reached Horizons

Di Luca Montini - 27 Gennaio 2013 - 0:00
Best Reached Horizons
Band: Angra
Etichetta: SPV/Steamhammer
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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80

Stando alle parole di Rafael Bittencourt, storico chitarrista della band, nonché fondatore ed unico superstite della formazione originale, gli “early days” degli Angra non sono stati proprio facili. Nel lontano 1991, a  San Paolo, in Brasile, era un lusso saper suonare uno strumento. Del resto, era un lusso anche solo possederne uno di buona qualità. Ma è nella difficoltà che le più forti volontà ed i più grandi talenti riescono ad emergere, e se il già citato Bittencourt unisce le forze alla voce di un fenomeno come Andre Matos, da un universo chiuso e senza prospettive iniziano già ad aprirsi nuovi, inaspettati orizzonti da raggiungere.
La demo autoprodotta “Reaching Horizons” (1992) viene particolarmente apprezzata nel paese del sol levante ed il successo degli Angra è immediato: la JVC Japan offre infatti alla band il denaro necessario per registrare e produrre il primo album… in Germania, ad Amburgo, nello studio di registrazione del signor Kai Hansen. Il titolo dell’album è Angels Cry (1993).
Senza indugiare troppo sulle note vicende del gruppo brasiliano, sullo split di Andre Matos, Luis Mariutti e Ricardo Confessore in favore degli Shaaman agli albori del terzo millennio, la storia degli Angra può essere suddivisa idealmente nei due decenni di vita della band: il primo, gli anni novanta, con Andre Matos alla voce. Il secondo, dal 2001 in poi, con Edu Falaschi al microfono. Questa seconda fase può dirsi conclusa con il recente abbandono di quest’ultimo, che ha lasciato un posto tutt’oggi vacante.
Riecheggiando il titolo della prima demo, questo best of ci illustra con dovizia gli orizzonti raggiunti dalla band nel suo lungo percorso di grande musica in un doppio CD che riassume in chiaroscuro i due decenni appena citati, uno per disco. La qualità del materiale proposto è prevedibilmente sublime, il livello tecnico e la carica emotiva di questa band dal sangue latino sono leggenda almeno quanto le numerose citazioni agli album del passato contenuti, tutti insieme, nello stupendo artwork di Best Reached Horizons, ad opera dell’illustratore brasiliano Gustavo Sazes.

Svelando le tracce e concedendoci all’ascolto possiamo immergerci immediatamente nella carismatica Carry On, probabilmente il brano più celebre della band, seguita, come nell’album originale, dalla storica Angels Cry. La qualità della produzione è superlativa anche vent’anni dopo, il sound colpisce l’ascoltatore con grande pulizia ed un bilanciamento ideale tra voce, cori, linee di basso ed incursioni di violini perfettamente mixati. Viene il turno della cover di Kate Bush: Wuthering Heights, non troppo dissimile dall’originale. Ne ricordiamo un’altra, decisamente più speed metal, aggressiva e sperimentale, contenuta nella demo “Reaching Horizons”. Qui Matos spinge il suo falsetto oltre i limiti, donando al brano passione e romanticismo. Struggente ai primi ascolti, forse un po’ ripetitiva col passare del tempo, che quasi viene da andare dal signor Heathcliff per chiedergli cortesemente di aprire quella maledetta finestra a Cathy. Segue Evil Warning con il suo coro in apertura ed il suo memorabile interludio di basso, seguito dal solito bilanciatissimo mix di piano, orchestrazioni ed esplosione finale nel solo della lead guitar.
Alla luce delle prime quattro tracce possiamo subito segnalare una forte e prepotente presenza del primo album “Angels Cry”. Ci vorrebbe anche Time per far quadrare il cerchio, ma forse la nostalgia ha già preso il sopravvento nel concedere così tanto spazio al debut album, che già siamo quasi a metà del primo disco del best of.

Dall’album “Holy Land” (1996), scritto durante quattro mesi di vita immersi nella natura selvaggia in una casa colonica nel profondo Brasile (e registrato successivamente in Germania), sono estratti tre brani: Nothing to Say, Holy Land e Carolina IV, quest’ultima in versione live, registrata all’Aqua Boulevard di Parigi, estratta dall’EP “Holy Live” (1997). Poco da aggiungere su quest’album, un vero classico, nel quale gli Angra riescono magistralmente nel tentativo quasi sciamanico di riunire elementi di musica tribale e power metal, basti pensare (ed ascoltare) le ritmiche e gli inserimenti strumentali “insoliti” dei brani proposti; la stessa titletrack Holy Land è qualcosa di decisamente inedito.
La potente Freedom Call sgorga dall’omonimo EP (1996), nato quasi per caso da una cover di Painkiller per un tributo ai leggendari Judas Priest. Chiudono l’ascolto due brani da “Fireworks” (1998): l’intima e struggente riflessione di Lisbon, ballad che ci troverà dopo neppure un ascolto a canticchiare coinvolti: “Oh, skyes are falling down”, mentre il primo CD arriverà alla sua degna ed inevitabile conclusione con la successiva Metal Icarus.

“Rebirth” (2001) è un concept album di rinascita palingenetica della band, costretta a rinnovare tre membri dopo lo split del 2000: fuori Matos e la parte ritmica, Mariutti (basso) e Confessori (batteria) e dentro Falaschi, Priester (batteria) e Andreoli (basso). L’inizio del terzo millennio non verrà ricordato dalla storia come un periodo molto tranquillo, carico di disillusioni, tensioni internazionali e guerre: l’11 settembre 2001 ne è un esempio lampante. “Rebirth” è l’incarnazione di quel periodo, ed affronta tematiche post-apocalittiche di rinascita carica di energia ed ottimismo. L’album è subito un successo rappresentato in questo best of da Nova Era e dall’omonima Rebirth. La prova di Falaschi è eccellente, il timbro è differente da quello di Matos ed il rischio di paragoni indebiti è evitato. Il rinnovamento, più nella lineup che nello stile inconfondibile, si lascia decisamente apprezzare, nel nostro caso, nell’energia del primo brano e nella solennità del secondo. Nova era brings the An…gra back to life.
Di nuovo un omonimo EP (2002): Hunters and Prey incarna perfettamente lo stile degli Angra con il suo inconfondibile ritmo latino intrecciato al progressive rock/metal. In quello stesso periodo la band registra la cover dei Led Zeppelin Kashmir per un tribute, che troviamo qui proposta come ultimo brano, probabilmente per molti l’unico vero “inedito” di questo best of. Il pezzo originale era un capolavoro e la cover non delude.
Dal successivo concept album “Temple of Shadows” (2004) questo best of attinge due brani. La power Spread your Fire, di nuovo con doppia cassa pesante ed un epico chorus supportato dalla voce femminile di Sabine Edelsbacher. Anche Waiting Silence, dallo stesso concept, si mantiene su uno stile power metal più classico.
Altre due tracks a testa per gli ultimi due album: da “Aurora Consurgens” (2006), di nuovo un concept sulle tematiche contemporanee alla band, nel mondo ed all’interno del gruppo quali la follia: The Curse of Nature e Salvation: Suicide.
Chiudono definitivamente l’ascolto, oltre alla già citata Kashmir, Arising Thunder ed una tra le più riuscite ballad della band: Lease of Life, dall’ultimo album “Aqua” (2010).

Segnaliamo la presenza di una versione alternativa a quella proposta in sede di recensione, in esclusiva per il mercato giapponese, storico paese sostenitore della band (come già detto ad inizio recensione); edizione ovviamente omonima ma composta da un singolo CD da 18 brani e da un DVD con alcuni video del gruppo. Le differenze sono numerose e sostanziali. Nell’edizione nipponica non sono presenti le due cover di Kate Bush e dei Led Zeppelin (probabilmente più legate al mondo occidentale), mancano anche Evil Warning, Holy Land, Carolina IV, Metal Icarus, Rebirth, Hunters and Prey, Waiting Silence, The Curse of Nature e Salvation Suicide. Scopriamo inoltre che il mercato giapponese apprezza le intro (o forse sono state inserite per una questione di spazio di minutaggio permesso dal singolo CD audio): troviamo infatti in questa versione Unifinished Allegro ed In Excelsis per inaugurare le due fasi della band, rispettivamente da “Angels Cry” e “Rebirth”. Nell’edizione giapponese troviamo inoltre, assenti nell’album qui preso in analisi: Z.I.T.O., Wings of Reality, Bleeding Heart, Deus de Volt!, Angels and Demons, The Voice Commanding You e Scream Your Heart Out.

Valutare la carriera di una band come gli Angra è impossibile, la qualità della proposta musicale è innegabile, mentre i dibattiti su quali tracce inserire e quali no in un best of dopo vent’anni spesso è materia troppo legata alla soggettività di ognuno, alle esperienze ed ai legami affettivi con questo o quell’album. Volendo valutare Best Reached Horizons in quanto a materiale inedito bisogna ammettere che lo sforzo di produrre quest’album, artwork a parte, è stato minimo: tutte le tracce erano già reperibili e non vi sono particolari ragioni che giustifichino l’acquisto per chi ha è già legato da anni all’universo Angra. Tuttavia ho l’impressione che il target di quest’album non siano tanto i fan storici della band brasiliana, quanto i neofiti, chi da Angels Cry in poi non ha mai avuto il piacere di assaporare ogni riff, ogni nota, ogni intricata struttura ed ogni orchestrazione carica di passione ed energia; tutti coloro i quali devono ancora volgere lo sguardo verso orizzonti ignoti.
Volendo concludere questa lunga recensione con un auspicio, dopo il viaggio in crociera del “70.000 Tons of Metal” con al microfono il nostro Fabio Lione in veste di ospite speciale in attesa di un nuovo frontman, vorremmo che i due CD che compongono quest’opera non siano che un’antologia di ciò che è stato proposto e composto fino ad oggi dagli Angra “parte I e II”, in vista di nuovi, inaspettati e sublimi orizzonti da esplorare.

Terzo capitolo: Still reaching horizons

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Tracklist:

CD1
1. Carry On
2. Angels Cry
3. Wuthering Heights
4. Evil Warning
5. Nothing to Say
6. Holy Land
7. Carolina IV (live)
8. Freedom Call
9. Lisbon
10. Metal Icarus

CD2
1. Nova Era
2. Rebirth
3. Hunters and Prey
4. Spread Your Fire
5. Waiting Silence
6. The Course of Nature
7. Salvation: Suicide
8. Arising Thunder
9. Leese of Life
10. Kashmir (Led Zeppelin cover)
 

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