Recensione: Black Sun

Di Fabio Vellata - 14 Gennaio 2024 - 8:00
Black Sun
Etichetta: Frontiers Music
Genere: Hard Rock  Power 
Anno: 2024
Nazione:
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69

I The Grandmaster sono l’esperimento in solitaria di Jens Ludwig, ottimo chitarrista che i più ferrati ricorderanno essere tra i fondatori dei celebrati Edguy.
Avevamo già avuto l’occasione di ascoltare la versione di power metal elegante e molto melodica proposta da Ludwig poco più di un paio di anni fa (era il 2021), all’uscita del debutto “Skywards“.
Un buon album senza dubbio, non tale però da scolpire memorie davvero durature: la bravura dei singoli era palese. Ma l’interessante risultato complessivo restava a metà, tra un disco di routine e il semplice divertimento scollegato da velleità di “alta classifica”.

Il secondo giro discografico, anche questa volta licenziato da Frontiers, non esce da un copione consolidato, riservando poche sorprese. Nel bene e nel male.
Unica differenza sostanziale è il cambio di voce: fuori il pur bravo singer brasiliano Nando Fernandes, a favore del “carnivoro” ed aggressivo Peer Johansson. Cantante che grazie ad un ugola particolarmente abrasiva e personale, ha legato la propria fortuna soprattutto a quella dei rockers danesi Fate.

Anche questa volta, un’ottima voce – ancorché diversa – e le pennellate di Ludwig alla chitarra, unite alla sapienza di un buon complesso di musicisti. Tra i quali, l’ennesima comparsata di Ale DelVecchio impegnato a vario titolo. Tutto molto bello, compresa la consueta qualità dei suoni, assestata come sempre su buoni valori.
Eppure non al punto da considerare “Black Sun” come un sicuro vincente pronto ad emergere nell’oceano ingovernabile delle troppe uscite discografiche di questi ultimi anni.
Le canzoni si ascoltano con favore: un solido power metal / heavy melodico mai troppo veloce, con qualche riferimento a Masterplan, Firewind e alle due band da cui provengono i nomi di maggior spicco (Fate ed Edguy). Inclusa qualche incursione in atmosfere mediamente più oscure che sembrano mettere assieme certa synthwave ed i 69 Eyes (“Something More” e “What Can We Bear”).

Al termine però, la domanda è sempre la medesima.
Cosa può avere “Black Sun” in più delle decine di dischi di questo genere o ad esso affini, che sono stati pubblicati con eccessiva frequenza nell’arco degli ultimi due lustri?
Non molto.

Ci si può anche accontentare, tutto sommato.
In fondo i The Grandmaster, il loro compito lo svolgono egregiamente. Ed il fatto che ci sappiano fare è fuor di dubbio. “Black Sun” si ascolta in scioltezza, ha qualche buon momento ed in sostanza nemmeno dispiace.
Ma in senso generale un po’ di frustrazione è inevitabile. A forza di album buoni, ma fondamentalmente “usa e getta” e privi di un vero “marchio” personale finiremo per annoiarci.
E il risultato sarà quello di perdere interesse anche per cd come questo. Per qualcosa che sta diventando inflazionato e troppo pieno di stereotipi sempre uguali a se stessi.

https://www.facebook.com/TheGrandmasterBand

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