Recensione: Blind Faith Revolver
Metal Hammer greco li ha eletti band dell’anno 2013, arrivando a pubblicarne l’album, sino ad allora ‘semplicemente’ autoprodotto, assieme alla Trailblazer Records. E, se arriva un riconoscimento così importante, è chiaro che alla base del tutto ci deve essere della sostanza.
Sostanza che, da sempre, fonda con grande solidità i Furor, nati nel 2001 ad Atene e autori, oltre al premiato “Blind Faith Revolver” di altri due full-length (“Even God Can’t Judge Us”, 2006; “Those Chords Make Chaos”, 2008) e un EP (“Small Talk Delirium”, 2012).
La loro proposta, invero, tanto originale non è; tuttavia il menzionato mestiere e una discreta vena compositiva fanno di “Blind Faith Revolver” un lavoro da non sottovalutare. Il genere, per esempio, è consolidato dal passare del tempo, e fornisce al disco un’aurea di sicurezza, di decisione, di personalità. Genere che fonda le sue radici nel thrash, poi evolutosi – o involutosi, dipende dai punti di vista… – in quel nu-metal che ha emesso i primi vagiti in occasione del leggendario “Caos A.D.” dei Sepultura (1993). Nu-metal che di fatto ha dato il là al metalcore e al post-thrash o groove metal che dir si voglia. Ecco, volendo accumunare i cinque ateniesi a una specie, quella del metalcore sembra essere la più appropriata. Non il metalcore moderno e soprattutto melodico che va tanto di moda adesso, ma quella miscela durissima fra hardcore e thrash che fa suoi abbracciandoli all’unisono l’aggressività del cantato e la scontrosità del ritmo. Certo, qualche ritornello accattivante e un po’ di tendenza a manovrare la parte del cervello deputata al piacere c’è. Ma, senz’altro, non rappresentano una peculiarità assoluta dell’opera.
Del resto il genere è ben fisso nei propri stilemi, per cui l’unica opportunità di fare qualcosa di buono senza uscirne dall’ambito è quello di concentrarsi sulle canzoni. I Furor, si sente, lo fanno con encomiabile impegno, a volte riuscendo nell’intento di far battere il piede (“Blind Faith Revolver”), a volte annoiando un pochino (“Stinkhole Loaded”). Nonostante questo altalenarsi la media complessiva si mantiene più che decente, grazie soprattutto a Vagelis Kolios, davvero bravo con la voce. Kolios che, con il suo tono roco e aspro, interpreta in modo impeccabile le linee vocali; dando quel qualcosa in più che, magari, i suoi compagni non riescono a metter giù. Si tratta comunque di un dettaglio che non fa torto a un ensemble assai equilibrato come abilità tecnica, dotato sia di muscoli (“Mispelled Marionette”) sia di tatto (“Black To Gray”). Che sa di tanta esperienza, spesa fra garage, sale prove, studi di registrazione e, ultimi ma non ultimi, polverosi e infuocati palcoscenici dell’underground ellenico.
Pur non rappresentando certamente un capolavoro, “Blind Faith Revolver” merita un posto nella discografia di un fan del metal degno dell’appellativo. I Furor hanno fatto tanta strada, per giungere sin qui, e l’hanno fatta con spirito di sacrificio non mollando mai la presa come nella migliore tradizione del genere. Grazie, anche, a un tocco di classe che, comunque, non guasta mai.
Daniele “dani66” D’Adamo
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