Recensione: Blood And Dust
La Polonia, imperterrita, continua inesorabilmente a sfornare nel campo del death metal band contraddistinte da elevatissimi standard sia tecnici sia, soprattutto, artistici. La questione si trascina da parecchi anni, ed è ormai attitudine consolidata accumunare la nazione baltica – assieme a poche altre – a quanto di meglio si possa trovare oggigiorno negli oscuri territori del genere anzidetto.
Genere che, come ben si sa, si frammenta in parecchi sottostili via via sempre più numerosi al trascorrere degli anni. In particolare, diametralmente al concetto che fonda la base dell’old school c’è il cyber; per l’appunto elaborato su idee proiettate con decisione verso il futuro. Intendendo per tale approccio sia la sezione dedicata alle liriche, sia quella centrata sul sound.
Allora, basta poco a farsi venire in mente act quali Crionics (purtroppo scioltisi nel 2011) e Thy Disease, veri campioni in materia di death metal applicato alle macchine. Quasi a colmare il vuoto lasciato dai Crionics, appunto, ci sono ora gli Hyperial, seppur in vita dal 2006 e già autori di un demo (“The Eternal Paradise Of The Illusion”, 2007), di un EP (“Industry”, 2012) e di due full-length: “Sceptical Vision” (2010) e il neonato “Blood And Dust”.
Proprio quest’ultimo, in virtù di una veste grafica eccezionale (dovuta a Kisaw), di un suono superlativo (registrazione, missaggio e masterizzazione a cura di Micha? Grabowsky) e di una generale dote di grande professionalità, evidentemente deputato dagli Hyperial stessi a diventare un metro di riferimento per il genere di cui trattasi. Focalizzando nel dettaglio l’attenzione proprio sul sound, fantastica miscela fra la violentissima brutalità di un death che comunque non accetta compromessi e la fenomenale visionarietà che solo le asettiche intrusioni delle tastiere e dei campionamenti elettronici riescono a supportare. Una commistione che, in “Blood And Dust”, si sviluppa senza difetti, anzi. Sul vertiginoso muraglione di suono innalzato dai titanici riff delle chitarre di Grochu e Kula si stampano, infatti, le armonizzazioni delle keys di Aneta; a volte soffuse, a volte sinfoniche, a volte discrete. Sempre efficaci, però, a creare quelle stupende atmosfere da science fiction film che caratterizzano pesantemente il cyber death metal. Assieme, ovviamente, all’incedere meccanico e inumano della sezione ritmica; spinta a volte alla velocità della luce dal drumming devastante di Bocian nonché dal ruggito del basso di Artur. Per raggiungere istanti di assoluto godimento auditivo quando la trance da blast-beats viene attraversata senza pietà dalle ambientazioni aliene di Aneta (“Till The End Of His Days”).
Davvero e senza dubbio quanto di meglio si possa fare attualmente nel tema.
Del resto, quella citata non è certamente l’unica song a lasciare una traccia indelebile nella corteccia cerebrale. “Human In Psychosis Relentless” lo dimostra appieno, con la sua terremotante energia distruttiva, i suoi fulminei cambi di tempo, i raggelanti rumori di universi robotici, le rabbrividenti accelerazioni, le vertiginose discese nei tunnel spazio-temporali sparsi per il Cosmo. Un vortice di materia oscura che travolge tutto e tutti, proiettando chi ascolta decenni in avanti quando, inesorabilmente, la Terra sarà dominata dalle macchine e la razza umana estinta (“Civilization Dies”). C’è pure la mostruosa “In The Abyss Of Madness” a rimarcare la validità di un genere completamente adulto e maturo, perfettamente definito in tutte le sue caratteristiche tecnico-artistiche. Fra le quali, non bisogna mai dimenticare, c’è un’iracondia sconquassatrice praticamente senza limiti se non quelli dell’umana capacità di sopportazione di velocità e potenza che soltanto il metal più estremo riesce a sondare. Di fianco, come se non bastasse, all’innalzamento parossistico del livello di pressione sonora, quando occorre. Il quale diviene inesorabilmente insostenibile in “Gehenna Upon His Feet”, ove i tremendi rallentamenti ricordano le iperbariche discese nelle frequenze più basse che distinguono il deathcore.
Null’altro da aggiungere.
Daniele “dani66” D’Adamo
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