Recensione: Blue Oyster Cult

Di Fingolfin82 - 11 Ottobre 2005 - 0:00
Blue Oyster Cult
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Anno: 1972
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78

Primi anni ‘70. Mentre dall’Inghilterra si imponevano alla scena mondiale i dischi di Deep Purple, Black Sabbath, Led Zeppelin, negli Stati Uniti, più precisamente a New York, andava nascendo una realtà che avrebbe, non dico rivoluzionato, ma portato una ventata di freschezza e originalità nel movimento Hard Rock, diventando un pilastro del genere, e soprattutto fonte di ispirazione per tantissimi musicisti, sia in campo hard’n heavy.
Parlo, ovviamente, dei Blue Öyster Cult.
Come molti di voi sapranno, la loro musica è talmente particolare che si potrebbero sprecare pagine e pagine per descrivere le tantissime emozioni o atmosfere che essa è in grado di evocare, ma io voglio usare una sola parola per descriverla: visionaria. Già, visionaria, perché ogni singola nota dei B.Ö.C. vi allucinerà, vi trascinerà in un buco nero intriso fino all’osso di atmosfere cupe, malate, misteriose, mentre la voce a tratti dolce e a tratti pazzoide di Eric Bloom vi narrerà di esoterismo, occulto, metafisica e astronomia.
Tornando a noi, siamo nei primi ’70, precisamente nel gennaio 1972. Viene dato alla luce il primo disco, omonimo, dei Blue Öyster Cult. La formazione è la prima, nonché quella storica che rimarrà invariata per più di 10 anni:

Eric Bloom (lead vocals, stun guitars, keyboards)
Donald “Buck Dharma” Roeser (lead guitars, vocals)
Allen Lanier (rhythm guitars, vocals, keyboards)

Albert Bouchard (drums, vocals)
Joe Bouchard (bass, vocals)

Con in più la presenza essenziale, ma dietro le quinte, di Sandy Pearlman, produttore, ma anche coautore e manager della band.
La cosa che salta subito all’occhio del disco è la copertina indecifrabile, con la riproposizione dell’antico simbolo di Kronos (Saturno) –che diventerà il marchio di fabbrica della band- che campeggia sul fondo di un paesaggio ipnotico e spaziale. Tutto ciò non è che un primo assaggio di quello che troveremo all’interno del disco, una finestra sul mondo ignoto dei B.Ö.C..
Se ve la sentite di entrare in questa affascinante dimensione musicale allora lasciatevi trascinare dai riffs allucinati di “Transmaniacon MC”, dall’assolo ancor più allucinato di Buck Dharma, dalla sezione ritmica dei fratelli Bouchard che non vi darà scampo. Su “I’m On The Lamb But I Ain’t No Sheep”, troverete un rock caldo con delle chitarre nitide, ispirate e irresistibili, che faranno da preludio a uno dei pezzi forti del disco: parlo di “Then Came The Last Days of May”, ballata quasi psichedelica dalla melodia cristallina, dove sarete cullati della delicatezza delle chitarre e dalla voce di Bloom, che qui si fa sognante, accompagnata dai cori soffusi del resto del gruppo. Ma ecco che tutta la dolcezza e la calma vengono spazzate via, perché è il momento di “Stairway To The Stars”, uno dei più grandi successi dei B.Ö.C., una cavalcata Hard Rock di grande impatto, dotata di un riff travolgente che vi si stamperà in testa al primo ascolto ed in cui tutti e 5 i polistrumentisti si esprimono al meglio delle loro capacità.Indimenticabile l’assolo di chitarra, che si intreccia con delle bellissime linee di piano.
Tocca ora a una delle canzoni più stravaganti del disco, “Before The Kiss, A Redcap” (con un testo di difficilissima comprensione), caratterizzata da un incedere che sa tanto di vecchio rock e che esplode in un coinvolgente giro di basso e un bel boogie di tastiera che non potranno lasciarvi indifferenti: vi ritroverete a battere il tempo, finchè non sarete travolti dalle spettacolari chitarre del finale. Reduci dalle stranezze di Before a Kiss, sarete catturati dal coro effettato dell’inizio di “Screams”, che dopo avervi ipnotizzato vi guiderà verso le strofe della canzone, assolutamente irreali, inquietanti, pregne di un’atmosfera maligna e d’occulto, ben rappresentative dello stile dei B.Ö.C.. “She’s As Beautiful As A Foot” è un lento stralunato, ed è seguita da un altro pezzo forte della band, “Cities On Flame With Rock’n’Roll”. La canzone, pur mantenendo un ritmo non certo forsennato, è trascinante come poche, con un riff pesante come un macigno, ossessivo, maligno e geniale nella sua semplicità e immediatezza. Non fatevi illusioni, difficilmente la vostra testa riuscirà e liberarsene. Ma il viaggio nell’ignoto non è ancora finito: “Workshop Of Telescopes” vi catapulterà nello spazio profondo, e vi sentirete sperduti e senza appiglio. Il disco si chiude con le tinte quasi Country della melodica “Redeemed” che ci fa tornare alla realtà.

Per concludere, consiglio questo esordio a tutti gli amanti dell’Hard Rock, qui troverete pane per i vostri denti, tecnica notevole e atmosfere che in pochi sono in grado di creare. Certo, non siamo ancora ai livelli eccelsi che i B.Ö.C. raggiungeranno nei successivi album. Qui infatti il songwriting è ancora pesantemente influenzato dal rock degli anni ’60 ma rimane comunque un disco ottimo, con delle perle che sono tuttora fra le loro canzoni più riuscite, e soprattutto con in evidenza quello spirito alienato e visionario che sarà il loro marchio di fabbrica.
Daniele “Fingolfin82” Piga.

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