Recensione: Bound to the Witch

Di Marco Donè - 16 Luglio 2018 - 0:01
Bound to the Witch
Band: StormWitch
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2018
Nazione:
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Credo sia giusto essere chiari sin dall’inizio: gli Stormwitch sono un nome che ricopre un ruolo speciale nei miei ascolti, una band a cui sono legatissimo, una formazione capace di scrivere album divenuti assoluta leggenda della musica dura, autentici punti di riferimento per un certo modo di intendere il metallo. Mi riferisco, in particolare, a “Stronger than Heaven” e, sopratutto, a “The Beauty and the Beast”, lavori che, almeno per il sottoscritto, rappresentano l’apice della discografia del quintetto tedesco. Ogni nuovo album della compagine teutonica diventa quindi un appuntamento carico di significato, dove la speranza di un disco che possa essere un degno erede dell’altisonante passato è più viva che mai. Purtroppo, però, dal ritorno sulle scene, avvenuto nel 2002, gli Stormwitch non hanno saputo realizzare un full length che potesse soddisfare appieno le aspettative dei fan, anzi, ogni album è sempre risultato più debole del proprio predecessore. Così, dopo il deludente “Season of the Witch”, pubblicato nel 2015, le flebili speranze di un platter che possa risollevare le sorti di una band che sta vivendo una lenta, ma innegabile caduta libera vengono riposte in “Bound to the Witch”, disco che ci troviamo a curare in queste righe.

 

Con “Bound to the Witch” gli Stormwicth si presentano con una line-up nuovamente rivoluzionata. Per l’occasione il mastermind Andy Aldrian (a.k.a. Andy Mück) decide di circondarsi di volti familiari, musicisti che dal 2002 a oggi hanno già fatto parte degli Stormwitch, nel tentativo di dare una sorta di continuità alla sua creatura, vista l’impossibilità di riuscire a coinvolgere gli altri membri della gloriosa formazione degli anni Ottanta. L’album è un piccolo passo avanti rispetto al precedente “Season of the Witch”, con una produzione curata e nettamente superiore rispetto a quella del 2015, frutto di un ottimo lavoro in sede di missaggio e mastering. Andy regala un’altra prestazione convincente al microfono, con la sua personalissima timbrica che sembra non accusare gli effetti del tempo, creando un ponte virtuale tra presente e passato. Una di quelle voci che non accettano mezze misure: o la si ama o la si odia. Un cantante che non rientra nel novero dei “tecnicissimi” ma che può contare su espressività e carisma, in poche parole, la certezza dei “nuovi” Stormwitch è lui. Ma il disco com’è? Eh, come dicevamo prima, è un piccolo passo in avanti rispetto a “Season of the Witch”. I limiti espressi in quell’album, però, li incontriamo anche in “Bound to the Witch”. Ci troviamo così al cospetto di tracce scontate, cariche di soluzioni trite e ritrite, che lasciano poco di sé ad ascolto ultimato. Il platter presenta la sua parte migliore nelle fasi iniziali, dove, in qualche frangente, fanno capolino melodie e strutture che riportano alla mente passaggi dal già citato “The Beauty and the Beast”, come nel caso dell’opener ‘Songs of Steel’, o dell’incompreso “War of the Wizards”, vedi la title track e ‘Arya’. Canzoni che non rientreranno nell’elenco delle composizioni migliori del quintetto tedesco, ma che risultano comunque capaci di trasmettere emozioni all’ascoltatore. Purtroppo, però, il proseguo dell’album non si rivelerà della stessa “pasta”, mettendo in luce tutti i punti deboli elencati poco sopra. Così, se nulla può essere detto sulla struttura dei pezzi e sulla loro esecuzione, più di qualche perplessità può essere espressa sulla qualità del songwriting, sull’originalità delle soluzioni, sull’incapacità di tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore. Un disco che scorre senza colpo ferire, il classico lavoro senza infamia e senza lode, un po’ pochino con quel nome altisonante presente in copertina.

 

Come ampiamente descritto in sede di analisi, anche con il nuovo “Bound to the Witch” gli Stormwitch non riescono a centrare l’obiettivo e mettono a segno un disco che non potrà essere definito un “disastro”, ma che non rilancia le quotazioni di una band che, dal suo ritorno in scena, ha detto ben poco. I tempi in cui i Nostri venivano definiti The Masters of Black Romantic sono lontani e qualche dubbio sull’utilità della decisione di Andy Aldrian a voler proseguire in solitaria con il monicker Stormwitch, inizia ad affiorare in maniera decisa. Tanto più se andiamo ad analizzare cosa stanno facendo i suoi ex compagni con i Witchbound, formazione nata dopo la prematura scomparsa di Lee Tarot, avvenuta nel 2013, e che raggruppa gli altri componenti che negli anni Ottanta hanno reso grande il nome Stormwitch. Il loro disco di debutto, pur non facendo gridare al miracolo, si è sicuramente rivelato più ispirato rispetto alle ultime fatiche di Andy, presentando però un pecca: la voce. Così, da un lato, con i Witchbound, incontriamo colui che, assieme al compianto Lee Tarot, era il compositore degli anni d’oro degli Stormwitch, mentre, dall’altro, abbiamo la voce storica della band tedesca. Singolarmente sembrano non riuscire a emergere, a toccare gli apici raggiunti in passato, ma assieme cosa potrebbero fare? Non rimane che attendere e sperare nel futuro, al momento, però, trovandoci tra le mani un disco come “Bound to the Witch”, con quel nome altisonante stampato in copertina, proviamo solo un grosso rammarico.

 

Marco Donè

 

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