Recensione: Boundless

Di Alessandro Marrone - 1 Aprile 2018 - 20:30
Boundless
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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77

La musica è un luogo in cui tutti noi, inconsapevolmente oppure no, ci rifugiamo. Uno dei consigli migliori che ho mai ricevuto è stato quello di ascoltare un disco e perdermi dentro di esso. L’ho fatto, seduto sul portico della vecchia casa dei miei nonni e fissando il fitto bosco di fronte a me, appena prima di chiudere gli occhi e perdermi letteralmente nell’ascolto, ho colto colori e sfumature, le stesse che gli artisti volevano trasmettermi. E con un disco strumentale come questo, una proposta ovviamente più difficile da percepire, come il nuovo disco dei Long Distance Calling, non c’era altro modo che tornare là fuori e lasciarmi trasportare dal sesto capitolo del quartetto tedesco che, abbandonato il cantante Martin Fischer hanno mutato ancora una volta il proprio sound, trasformando il percorso intrapreso in qualcosa che non deve necessariamente avere un inizio ed una fine e neppure un titolo. In Boundless si respira la libertà, espressiva ed emotiva, ma soprattutto si percorre un vero e proprio viaggio fatto di quel giusto numero di note, che una dopo l’altra non si prefiggono necessariamente un obiettivo, ma riescono a creare qualcosa che è in grado di delineare un album ricco di episodi musicalmente appaganti.

 

L’opener Out There, che è anche la traccia più lunga dell’intero album (quasi 10 minuti), anticipa quello che sarà il viaggio attraverso un sentiero dalle mille sfaccettature. La batteria trascina le chitarre ed il basso tra ritmiche sostenute, break ed aperture melodiche. In pochissimi minuti si riesce già a cogliere la vera essenza di questo disco, sicuramente diverso dal progressive che vi suggerirebbe la firma dell’etichetta InsideOut. Ma il progressive è soprattutto questo, un continuo cambiamento, una crescita di emozioni che si insinua nell’ascoltatore e così si prosegue con Ascending che aumenta il coinvolgimento ed invade i nostri timpani con la sua atmosfera selvaggia. In The Clouds suona quasi introspettiva, con quel suo avvio così delicato, che non fa altro che preparare la strada per un brano dalle reminiscenze quasi pinkfloydiane. Con Like A River cambiamo ancora una volta registro. Si fa attendere, cresce e ci fa respirare a pieni polmoni quel senso di grandezza che i LDC ci vogliono trasmettere e che si ribalta sulla loro musica attraverso un notevole mix di stili che però non risultano mai ridondanti e soprattutto mai in disaccordo con il tema principale. Anche The Far Side mantiene un ritmo lento e un’aria quasi sognante, ma in maniera differente rispetto ai brani precedenti. È quasi come se sentissimo di essere vicini alla meta e dentro di noi comincia a crescere quella sensazione di irrequietezza. Tocca a On The Verge farci capire che tutto può cambiare in fretta, trasformando la “camminata” iniziale in un feroce e malinconico assalto finale. Weightless è l’esempio di come poche note messe al punto giusto possano creare un brano pressoché perfetto per questo contesto. Il disco si conclude con Skydivers, la canzone più violenta e cruda dell’ultima fatica dei LDC. In parte riprende la foga elettro/distorta che troviamo con i primi brani, in parte sembra voler anticipare cosa ci aspetta per il prossimo disco, che a questo punto speriamo non si faccia attendere troppo.

 

Non un attimo di indecisione, non un momento che risulti ripetitivo, è questo che fa suonare Boundless dall’inizio alla fine, facendomi desiderare che non fosse volato via così in fretta. Così ricomincio da capo e apprezzo altri dettagli, senza trovare una falla in una creazione così diversa da ciò che prediligo solitamente, da farmi apprezzare ancora di più quanto non sia stata necessaria la voce per entrarmi in testa, o dovrei dire per fare entrare me in quel luogo selvaggio che rappresenta il disco stesso. Un prodotto diverso dal solito e che ribadisce come i Long Distance Calling abbiano saputo marchiare a fuoco un nuovo album, un sound, un viaggio che vale la pena di percorrere, soprattutto con gli occhi chiusi e la mente pronta ad accogliere un viaggio in luoghi inesplorati.

 

Brani chiave: Out There – In The Clouds

 

Alessandro Marrone

 

 

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