Recensione: Carving Out The Eyes Of God

Di Alessandro Cuoghi - 31 Marzo 2010 - 0:00
Carving Out The Eyes Of God
Band: Goatwhore
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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80

La minuziosa suddivisione del Metal in generi e sottogeneri è da sempre uno fra i principali argomenti di discussione fra i metallari di ogni dove. Proprio a tal proposito ci tengo a precisare che, nonostante il genere affibbiato alla band dal sottoscritto sia Black Metal, in questo caso ci troviamo distanti anni luce dalle sonorità standard di tale stile musicale.
Più corretto è parlare di Black/Death Metal con una buona dose di Thrash e dalle influenze decisamente Punk, dove i nostri si dilettano a farsi beffe di qualsivoglia canone compositivo.

La tendenza quasi compulsiva all’involuzione sonora di gruppi quali i Darkthrone, negli ultimi tempi sta diventando palpabile anche negli States, probabilmente in contrapposizione al forte uso di contaminazioni electro-prog nel Black Metal di stampo moderno e all’eccessiva dose di tecnica utilizzata dalla controparte estrema della medaglia, quel Deathcore o Brutal ultratecnico, inventato dai Suffocation più di 15 anni fa e che ora, prontamente contaminato, imperversa oltreoceano.

“Carving Out The Eyes of God”, disco dal titolo altisonante e quarto full lenght degli statunitensi Goatwhore si presenta sin da subito come un prodotto grezzo ed accattivante, dove a farla da padrone è l’Old School in tutti i suoi aspetti.
Grazie ad una batteria al fulmicotone, una voce in grado di garantire buona resa in qualsiasi circostanza ed un riffing che spazia comodamente tra violenza Thrash/Death, sfuriate Black e pulsazioni Punk Hardcore, la miscela sonora del combo risulta esplosiva ed “in the face” al punto giusto, senza sacrificare la varietà delle composizioni.
Proprio quest’ultimo aspetto emerge nettamente sin dai primi ascolti, ogni traccia infatti oltre ad essere più contaminata di un fusto di uranio impoverito, risulta ascrivibile a vari sottogeneri differenti, cosa abbastanza rara al giorno d’oggi.
Sebbene le influenze della band, che spaziano dai Celtic Frost ai Venom passando per i vari Motorhead, Sodom e tutto quanto sia alla base del Metal più duro e privo di fronzoli, possano trarre in inganno, inducendo a pensare ad una lacunosa mancanza di tecnica sopperita dalla proposta di un genere sicuramente non impegnativo, è sufficiente ascoltare la flessibilità compositiva dell’axeman Sammy Duet e la potente precisione del batterista Zack Simmons (ex componente dei particolarissimi Nachtmystium) per comprendere che dietro l’assalto sonoro si cela una preparazione di tutto rispetto.

E proprio sul puro assalto sonoro poggiano le fondamenta della prima traccia del disco: la punkeggiante cavalcata Black/Thrash “Apocalyptic Havoc”, da cui è stato estratto un videoclip che mostra la band in assetto quasi guerresco, ricoperta di borchie come neanche gli Immortal ai tempi d’oro avrebbero saputo fare.
Il pezzo risulta decisamente gradevole ed immediato, fondendo ritmiche figlie della prima scuola Bay Area alla furia del Black Metal, per un risultato che, come detto, punta enormemente sull’aggressione sonora.
La produzione, decisamente curata e di stampo moderno, risulta in grado di conferire un tiro devastante ad ogni strumento ed alle vocals, senza intaccare di un briciolo l’amosfera Old School del disco.

Procedendo con “The All-Destroying”, secondo brano del platter dalla chiara impronta Black, giungiamo rapidamente alla devastante title track che, con un incipit dai forti richiami Brutal, mostra dove possano arrivare i nostri in quanto a potenza.
Con la successiva “Shadow Of A Living Knife” il gruppo vira pesantemente verso lidi Thrash/Punk, alla Toxic Holocaust, sfociando in alcuni momenti nella pura aggressione Grindcore.
Nota positiva và sempre al pregevole lavoro di batteria, capace di fornire ottimo supporto al riffing, senza per questo strafare o risultare spocchioso.

Per l’intera durata del disco vengono alternate brutallizzazioni Death/Black ad esplosioni Thrash/Punk, giungendo spesso ad una miscela di generi talmente sporca, come nel caso della già citata “Shadow Of A Living Knife” o di “This Passing Into The Power Of Demons”, da risultare di difficile decifrazione.

A conti fatti i difetti che emergono sono realmente pochi, uno dei quali, relativamente all’ascoltatore (che spesso lo considererà un pregio), è l’impatto fin troppo immediato delle composizioni, pregne di rabbia ed energie negative fatte esplodere come un pugno in bocca, che spesso procedono a testa bassa, col solo intento di risultare devastanti.
“Carving Out The Eyes of God” non è un disco profondo, da gustarsi in penombra in compagnia dei propri pensieri; è un disco violento, da ascoltare a tutto volume pogando e scapocciando con gli amici.
Dopo diversi ascolti risulta infatti chiaro come a questi ragazzi piaccia più che altro fare musica pesante, senza porsi alcun limite di sorta, aspetto questo che non va affatto sottovalutato e che potrebbe, in futuro, portare alla creazione di nuove ed interessanti realtà musicali.

Alessandro Cuoghi

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Line Up:

Ben Falgoust II – Vocals
Sammy Duet – Guitars, Vocals
Nathan Bergeron – Bass, Backing Vocals
Zack Simmons – Drums

TRACKLIST:
1.  Apocalyptic Havoc    
2.  The All-Destroying    
3.  Carving Out the Eyes of God    
4.  Shadow of a Rising Knife    
5.  Provoking the Ritual of Death    
6.  In Legions, I Am Wars of Wrath    
7.  Reckoning of the Soul Made Godless    
8.  This Passing into the Power of Demons    
9.  Razor Flesh Devoured    
10. To Mourn and Forever Wander Through Forgotten Doorways

 

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