Recensione: Chained

Di Matteo Lasagni - 25 Aprile 2005 - 0:00
Chained
Band: At Vance
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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72

Mi aspetto moltissimo da questo nuovo lavoro targato At Vance. Il precedente “Evil In You” mi aveva letteralmente impressionato grazie a un songwriting fresco e convincente, basato sulla perfetta alternanza fra sfuriate in doppia cassa di rara potenza ed episodi dal grande impatto melodico. La voce del nuovo singer Mats Leven si stagliava alla perfezione sul corposissimo muro strumentale costruito da Olaf Lenk, mastermind del gruppo e super-virtuoso della chitarra. Il tutto condito da quel rullo compressore che rispondeva al nome di Jurgen Lucas, un vero drum-killer, che però non ritroviamo in questa nuova avventura. Così gli unici superstiti della revolution tedesca sono la premiata ditta Lenk/Leven, che assicurano comunque un ottimo apporto in quanto a grinta e sudore metallico.

Diciamo subito che “Chained” non presenta nessuna novità stilistica rispetto al suo predecessore e gli At Vance continuano, attraverso uno stile personale e mai scontato, a calcare gli affollati campi speed-power dell’ultimo decennio, senza però tralasciare la vena hard rock che da sempre caratterizza il loro sound. Tutto ruota attorno al riffing esplosivo della chitarra di Lenk, che però stavolta sembra meno ispirato del solito, nessun calo vertiginoso d’accordo, ma i pezzi contenuti in questo nuovo dischetto difficilmente lasciano il segno e non convincono in particolare nelle linee melodiche, decisamente sottotono rispetto al precedente platter. La qualità media del cd risulta comunque discreta, ma come già detto in precedenza, le nostre speranze erano ben diverse. Tecnicamente nulla da dire, Olaf è un mostro di velocità e precisione e Mats è un vero asso della voce, aggressivo e graffiante come pochi sanno essere. Ottimo anche il basso di John ABC Smith ed il drumming impetuoso del provvisorio Mark Cross. Inoltre la produzione è veramente eccellente e non lascia spazio a rimpianti. Insomma siamo di fronte al classico disco ben suonato e ben prodotto che sicuramente piacerà agli amanti di queste sonorità, ma d’altronde da musicisti di questo calibro e dopo la dimostrazione di forza data con “Evil In You”, era lecito attendersi quel “quid” in più che solo i grandi sanno mettere nelle proprie creazioni.

Rise From The Fall” apre le danze con il più canonico degli up-tempo, una song sicuramente ben costruita che però manca di esplosività e pecca di scarsa originalità nel chorus principale. “Heaven” è invece un hard rock ottimamente confezionato, zuccheroso quanto basta per rapire la nostra attenzione. La successiva “Tell Me” è una clamorosa speed track, tellurica e roboante come solo gli At Vance sanno regalarci. Stavolta ogni nota è al posto giusto, il riffing è assassino, la sezione ritmica spinge dannatamente forte ed il refrain è di quelli che si stampano subito in testa, trascinante e carico di rabbia. La title track è al contrario un brano molto pesante, lento e roccioso, espressione del lato più heavy dei teutonici. Proseguiamo con “Who’s Foolin’ Who”, unica ballad dell’album che fa dell’impatto melodico il suo chiaro intento. Il risultato è discreto, ma certamente sfigura rispetto al vecchio gioiello “Shining Star”. Le seguenti “Now Or Never” e “Two Hearts” esplorano ancora una volta territori hard rock, la prima con maggior impeto ritmico e la seconda con una più marcata ricerca melodica. Dopo un breve interludio classico ci troviamo al cospetto di “Run I Leave” che nella sua semplicità si rivela piacevole e di buona presa, pimpante ed orecchiabile. “Leave For The Sacred” invece sposta le proprie coordinate su atmosfere più rilassate e e rarefatte, lasciando le velleità metalliche all’ottimo trittico finale. Perfetta l’interpretazione dell’ “Inverno” di Antonio Vivaldi che Lenk non stravolge, ma arricchisce con un sound caldo e appropriato. Ultima vera song del disco è “Run For Your Life”, terremotante mazzata in doppia cassa di buona fattura, anche se la precedente “Tell Me” era di ben altro livello. Chiude poi il cd una versione superpompata del “Volo Del Calabrone”, ineccepibile finale di pirotecnica portata.

In sostanza ritengo questo “Chained” un buon disco, consigliato a quanti hanno già apprezzato i precedenti lavori degli At Vance e più in generale a quanti nel metal cercano grinta e carattere. Sicuramente non sarà un album epocale e di certo non è il miglior episodio realizzato dalla band che in passato ha fatto di meglio, ma non si può non sottolineare l’indiscutibile qualità di quest’uscita. L’artwork è molto curato e, dopo le stravaganze di “Evil In You” (che peraltro mi erano piaciute molto), Lenk e soci tornano ad una copertina più tipicamente fantasy, chiamando in causa sua maestà Luis Royo, rielaborato per l’occasione ed ancora una volta protagonista in casa At Vance dopo la preziosa cover di “Only Human”.

Tracklist:
Rise From The Fall
Heaven
Tell Me
Chained
Now Or Never
Two Hearts
Invention #13
Run/Leave
Live For The Sacred
Vivaldi Winter
Run For Your Life

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