Recensione: Chapter 2: Numquam

Di Giuseppe Abazia - 1 Marzo 2009 - 0:00
Chapter 2: Numquam
Band: Colosseum
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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79

I Colosseum sono stati una delle migliori sorprese del 2007, in ambito funeral doom. Catapultatisi sul mercato immediatamente con un full-length, Chapter 1: Delirium, i nostri seppero imporsi con uno stile certo non particolarmente originale, ma qualitativamente eccellente, e forte di un songwriting ricercato, potente, interessante. D’altra parte Juhani Palomäki, il mastermind del gruppo, non è certo un novizio del genere, essendo leader anche degli Yearning, band nata nell’ormai lontano 1996 ed autrice di validissimi dischi di doom melodico. A poco meno di due anni di distanza dal primo capitolo Delirium, la saga dei Colosseum continua ora con Chapter 2: Numquam.

Le coordinate musicali di Numquam sono rimaste praticamente invariate rispetto a Delirium: funeral doom monolitico, dalla lentezza ossessiva e dalle atmosfere inquietantemente epiche. Grande importanza, nel sound dei Colosseum, è rivestita dalle tastiere, che conducono le fila della musica con melodie solenni, notturne, tragiche; tuttavia, nonostante l’importanza conferita a tale strumento, nello stile dei Colosseum non v’è traccia del romanticismo o dell’accessibilità melodica che caratterizza altri gruppi funeral doom simili. Numquam, così come Delirium prima di lui, è un colosso di pesantezza emotiva e sonora che non lascia spazio a frangenti più leggeri: complice una miglior produzione rispetto al precedente album, in Numquam l’ascoltatore viene schiacciato da una sezione ritmica dai suoni estremamente corposi e da atmosfere perennemente oppressive. L’incedere delle chitarre è plumbeo, minaccioso, mentre la batteria scandisce in modo candenzato ma mai banale lo svolgersi di questa marcia funebre; da evidenziare anche partiture di chitarra solista estremamente ispirate, e interventi di chitarra acustica. A cantare delle fredde e disilluse emozioni racchiuse nell’album è un catacombale growl, il cui riverbero ne esalta la profondità e lo spessore, tanto da farlo sembrare provenire dall’antro di una caverna.
Numquam non è un disco di facile ascolto: le sette tracce, quasi tutte molto lunghe, non concedono un attimo di tregua all’ascoltatore, ma lo trascinano senza pietà in un baratro senza fine, come se il platter fosse costituito non da sette episodi scollegati, ma da sette parti di un’unica, lunghissima sinfonia di morte.

Difficile dire se Numquam sia meglio o peggio di Delirium: la loro fortissima somiglianza li fa sembrare, più che due album distinti, due capitoli conseguenziali di un discorso unico (come, d’altra parte, è indicato dagli stessi titoli). Chapter 2: Numquam è quindi un “more of the same”, ma un “more of the same” qualitativamente ottimo, confezionato con grande cura e attenzione ai dettagli, e graziato composizioni decisamente ispirate e coinvolgenti. Gli appassionati di funeral doom possono acquistare ad occhi chiusi, specialmente se avevano apprezzato Chapter 1: Delirium, tenendo a mente, però, che non bisogna aspettarsi nulla di nuovo da questo secondo capitolo, ma che si ritroveranno la stessa passione e lo stesso livello qualitativo del precedente episodio.

Giuseppe Abazia

Tracklist:

1 – Numquam (07:32)
2 – Towards the Infinite (06:57) (mp3)
3 – Demons Swarm by My Side (09:57)
4 – The River (07:07)
5 – Narcosis (09:53)
6 – Prosperity (16:42)
7 – Outro (05:31)

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