Recensione: Christ 0

Di Alessandro Marcellan - 30 Novembre 2006 - 0:00
Christ 0
Band: Vanden Plas
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Anno: 2006
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88

E venne il tempo della riscossa per i Vanden Plas. Liberamente ispirati (è il caso di dirlo) dal “Conte di Montecristo” di Alexandre Dumas, i tedeschi mettono in musica la storia di un uomo condannato al carcere per un fatto che non ha commesso, il quale, una volta libero, finisce per trasformarsi nel carnefice dei suoi persecutori per soddisfare la sua sete di vendetta. Cerchiamo ora nel track-by-track di raccontare parole e musica di questo ambizioso lavoro.

I. Christ 0 (5:37). Il concept si apre con oscure orchestrazioni, cori gotici (il coro, di 40 elementi, è quello del teatro di Kaiserslautern) ed echi dreamtheateriani dell’epoca “Awake”, introducendo il protagonista che, come l’Edmond Dantès di Dumas (1: “Christ-o” = “Montecristo”), si ritrova solo e disperato in cella ad invocare l’amata lontana (nell’arpeggiato mid-tempo della strofa e nei toni più speranzosi di un refrain classicamente Vanden Plas) e a maledire -in un bridge sapientemente irrobustito- coloro che lui riteneva amici e che poi l’hanno tradito (“gave you my heart, and they take it away…”). Al centro del pezzo, su repentini mormorii pianistici, una voce filtrata ci porta -per un attimo- avanti temporalmente, presentandoci il co-protagonista, sconosciuto al romanzo originale: l’Ispettore-X dell’Interpol, sulle tracce del serial killer (curiosa l’affinità nel nome con il famoso Dr.X…).

II. Postcard To God (6:19). Uno dei brani cardine del concept. Dopo un inizio sostenuto, le atmosfere si fanno più cupe e l’ugola atipica di Andy Kuntz interpreta con teatralità un Christ-0 scoraggiato, consapevole di aver perso tutto. Le sue preghiere inascoltate si perdono nella desolazione della prigione, e sono qui rese come lettere vuote a Dio, a simboleggiare la perdita della fede (2: “Christ-Zero” = “senza Dio”). Notevole la descrizione degli stati d’animo del protagonista, dapprima nel tema rallentato, poi nell’alternanza dei vari stacchi strumentali: la sofferenza mista a rabbia nei controtempi degli stralunati intrecci basso-chitarra, la residua apertura ottimistica nell’arioso assolo di tastiera, il ritorno agli umori iniziali nel successivo, veemente, solo chitarristico di Stephan Lill.

III. Wish You Were Here (9:16). L’Ispettore-X, scortato da un arpeggio di stampo Queensryche, rinviene il diario di Christ-0, tra preghiere e macabri rituali di morte. Ancora efficace la raffigurazione sonora delle ambientazioni, con archi pizzicati a simulare i passi circospetti di “X” e la batteria che cambia registro nell’oblio dei luoghi di indagine, mentre la sezione strumentale e il finale richiamano certe atmosfere dei Dream Theater di “Scenes from a memory”. Nel vigoroso ritornello “gridato”, Kuntz esprime il desiderio di vendetta di “0” che comincia a prendere forma (“I – will – give – y o u – all my pain”).

IV. Silently (8:33). In un riff ossessivo si estrinseca la fuga dal carcere di Christ-0, il quale riesce a trovare riparo (con il brusco rallentamento voce-pianoforte del refrain) nel silenzio di una caverna. E’ qui, alle stremo delle forze, col passare degli anni e la perdita del senso del tempo (“Silently 1, 2, 3 see the hours flow…Silently 39, 40 nights ago”) che maturano definitivamente le convinzioni omicide di “0 (ben sottolineate da un’onnipresente ed inquieta base di synth). Senza ormai distinzione tra fantasia e realtà, la sua mente rivede le scene di vecchi thriller da cui trarre spunto (es. la citazione del “Silenzio degli innocenti”), e si ritrova in un surreale spazio-tempo ad imbattersi nei fantasmi degli attori (geniale l’incontro con Depardieu, interprete di Dantès nella versione cinematografica del “Conte…”!). Tempi accelerati e tecnicismi ritmici -peraltro mai ostentati- esprimono perfettamente il progressivo distacco dalla realtà, che si conclude tra inaspettati passaggi di chitarra classica e le fughe tastieristiche di un ottimo Gunther Werno.

V. Shadow I Am (5:30). Condotto da basso e tastiera allucinati e ricchi di effetti, e col supporto di chitarre aggressive sul genere di “Far Off Grace”, il brano riprende le tematiche del precedente, tratteggiando la follia impossessatasi di un uomo ormai ombra di sé stesso.

VI. Fire Roses Dance (6:05). Pezzo interlocutorio, lento, struggente, dominato da pianoforte e orchestrazioni. Una preghiera, una cantilena sugli attimi fuggenti, che ti mostrano la meraviglia della vita nel momento in cui la distruggi. L’intensità interpretativa di Kuntz raggiunge il suo climax nell’ultimo passaggio “Why is it ever too late?”: un presagio, assieme all’inquieto crescendo ritmico del pezzo, di ciò che accadrà nel brano successivo…

VII. Somewhere Alone In The Dark (5:32). Nel pezzo inevitabilmente più sferzante del disco, si consuma la vendetta del protagonista, sempre più Christ-0, sempre meno Dantès (“…the ghost of Dumas…”). Il pesante riff di chitarra a metà brano ci porta dritti al centro del dramma.

VIII. January Sun (10:07). La sorte dei personaggi è affidata a 10 min. prodighi di variazioni, fra i Savatage, il musical e i Queensryche di “Suite Sister Mary”. L’indizio risolutivo per l’Ispettore-X è uno scritto di “0” che lo riporta, in un ritornello di grande intensità emotiva, ad una preghiera della sua infanzia. Ritmiche serrate, break strumentali e momenti più rilassati fanno da soundtrack al tardivo pentimento -con recupero della fede- per Christ-0, nonché all’imprevedibile fine per l’Ispettore. E’ la visione di un angelo a ricondurre quest’ultimo alla tragica verità del suo passato (“Confess your sins…I give you back your memory”): “X” infine si riconosce e comprende, sgomento, di essere lui stesso il serial killer che cercava, Christ-0 (“X – 7:35 now I’m Zero”)! Le parti più aggressive fanno posto definitivamente ad un accorato pianoforte ed ai propositi di suicidio sussurrati da Kuntz, visti ormai come soluzione inevitabile dall’unico protagonista della storia.

IX. Lost In Silence (4:21). Il canto del cigno per Christ-0/Ispettore-X, che in questo toccante slow, su una base di chitarra ora non più distorta, si getta nell’oceano. Le acque divengono metafora delle lacrime versate dai figli delle vittime (“Cry me away…”), e prima dell’ultimo chorus sembra a lui, ormai trapassato, di udire da una nave un’eco che lo richiama al mondo: “Come sail away with me”. Poi è silenzio.

La riscossa dei Vanden Plas, dicevamo, nel loro disco più intenso, complesso, raffinato, e sulla cui longevità si potrebbe facilmente scommettere. Eppure alla fine, la bonus-track “Gethsemane”, cover omaggio ad Andrew Lloyd Webber dal celebre musical “Jesus Christ Supestar” (peraltro egregiamente interpretata), pare quasi messa lì quale rispettoso metro di paragone, con i nostri a distoglierci, con la consueta modestia, dalla bellezza di quanto appena ascoltato: l’allegoria di una band mai troppo alla luce dei riflettori, e che nel 2006 può probabilmente permettersi di guardare gli acclamati colleghi dall’alto. Riverite, gente: qui passano i Vanden Plas.

Alessandro “poeta73” Marcellan

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