Recensione: Chronicles Of Oblivion

Di Daniele D'Adamo - 13 Giugno 2014 - 18:45
Chronicles Of Oblivion
Band: Deep In Hate
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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76

 

Anche i francesi hanno ultimamente fatto vedere o meglio sentire che non scherzano affatto con il death. Death moderno, meglio se *-core. Contraddistinto da un elevato tasso di tecnica. Come accade per esempio nei Benighted e nei Deep In Hate, due fra i migliori campioni della mini-squadra transalpina.

Nati nel 2004 a Parigi, nel corso della loro decennale carriera i Deep In Hate hanno già messo in saccoccia una discreta produzione discografica, che annovera due demo (“Never Remorse”, 2004; “Promo 2006 (Rehearsal)”, 2006) e tre full-length di cui l’ultimo (“Only The Strong Survive”, 2007; “Origins Of Inequality”, 2011), “Chronicles Of Oblivion”, è appena uscito per la label di Lilla Kaotoxin Records.

“Chronicles Of Oblivion”, appunto, che per la sua splendida manifattura esprime un concetto abbastanza evidente altrove ma più chiaro qui. Concetto che fissa quale siano gli ingredienti necessari per compiere il passo dal death al deathcore. Non si tratta solo di inserire nel menu le sonorità tipiche dei generi *-core, infatti. Certo, questo fatto non si può eliminare poiché è insito nel DNA del deathcore stesso, giacché il suo suono asciutto, secco e metallico è un segno particolare che non si può eliminare per definizione del genere medesimo. Oltre a questo, tuttavia, il deathcore ha bisogno di tanta tecnica e parecchia brutalità. Il che significa che la sua configurazione-tipo, nell’accezione più moderna possibile del termine, preveda una sorta di mix fra i dettami di base del technical death metal, del brutal death metal e, come più su evidenziato, dell’hardcore. Messa così la faccenda appare complicata ma in effetti non lo è, poiché – come lo dimostrano i Nostri – la focalizzazione di uno stile immutabile allo scorrere dei brani riesce naturale e, soprattutto, reale e concreta. Qualsiasi song di “Chronicles Of Oblivion”, insomma, ‘suona’ nello stesso modo, confermando la definizione a fuoco del cosiddetto ‘marchio di fabbrica’.

Così, sempre fedeli a tale timbro, i Deep In Hate innalzano senza alcuna indecisione il loro impressionante muro di suono, eretto riff su riff, giuntato nei vari blocchi dagli immancabili breakdown e quindi compattato dalla poderosa sezione ritmica. Il tutto, nobilitato da una precisione di esecuzione assoluta tale da far riconoscere a chi ascolta ogni singolo frammento del disco, seppur amalgamato nella straordinaria potenza di un sound terremotante, spesso ai limiti della soglia del dolore. Fra dissonanze, disarmonie e la grande aggressività dell’ugola del vocalist, la digestione di “Chronicles Of Oblivion” non è per nulla facile. Ma possibile. Anzi, malgrado il ‘dolore’ che quest’ultimo provoca alla mente con brani tipo “Altars Of Lies” e “Wingless Gods” – vere scorticature della corteccia cerebrale operate con fulminei segmenti di blast-beats – , l’insano piacere che deriva immergendosi nelle erculee spire del platter pare durare anche a lungo. Anche perché, saggiamente, i francesi ogni tanto un tocco melodico sì da spezzare la tensione ce lo mettono dentro, come nel caso del solo di chitarra di “The Unheard Prayers”. Pure la variazione sul tema offerta da “Beyond”, semi-suite – peraltro inusuale nel panorama deathcore – che sigilla il lavoro, aiuta a tenere lontana la noia.       

Presumibilmente i Deep In Hate non passeranno alla storia per aver inventato qualcosa di nuovo, dato atto della completa ortodossia che permea il deathcore di “Chronicles Of Oblivion” sino al midollo. L’opera, tuttavia, è nel complesso più che valida e merita almeno un ascolto, se non di più.   

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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