Recensione: “Closure/Continuation”

Di Nicola Furlan - 22 Settembre 2022 - 16:08
Closure/Continuation
Etichetta: Music for Nation
Genere: Prog Rock 
Anno: 2022
Nazione:
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85

Si narra che anni fa, la mente creativa che tracciava la direzione della via artistica dei Porcupine Tree decise che non ci sarebbe mai più stato un disco sotto quel leggendario nome. Quella mente è quella di Steven Wilson, talentuoso e geniale musicista britannico che, nell’ormai 1990, diede vita a una delle più interessanti band di rock progressivo ‘moderno’ che la Storia abbia mai annoverato nei propri annali.

Naturalmente la carriera del buon Steven non si fermò in quell’istante, in quanto la propria attività creativa trovò ulteriori conferme e sfoghi con la carriera solista e con altri progetti, uno fra tutti, i Blackfield.
Da ciò che si sa, i rapporti con gli ex membri del gruppo non si erano però arenati, anzi, sono proseguiti in termini amichevoli e con sporadiche e parziali collaborazioni… ma non con tutti. Da una parte il gruppo formato da Wilson, Richard Barbieri (tastierista), Gavin Harrison (batterista) s’è tenuto in vita, perlomeno col collante dell’amicizia, dall’altra, i rapporti con bassista Colin Edwin sono sfumati, a quanto si legge fra le righe, in maniera anche abbastanza incolore.

Anno 2021: il destino vuole che qualcosa si sia riacceso nel cuore e nella memoria del terzetto. Novembre 2021: la reunion viene annunciata e con essa un nuovo disco in lavorazione. In dettaglio le cronache narrano di un primo contatto a fine 2020 tra Harrison e Wilson, forse i più legati dal punto di vista personale ed artistico. I due si chiamano per sentirsi e il batterista la butta lì: ‘che ne dici Steven, facciamo qualcosa assieme?’. Wilson, che nel frattempo si diletta col basso, aveva da poco cacciato fuori una linea, un riff, decisamente catchy. Si incontrano e lo provano in sala prove, Steven seduto sul divano e Harrison ad ascoltare. È il riff del brano di apertura del disco di cui stiamo parlando. In quel preciso istante rinascono i Porcupine Tree. Da lì a poco poi viene richiamato Barbieri alle tastiere, ma non Edwin di cui, a detta di Wilson, la band può fare tranquillamente a meno.

Ma veniamo al presente. Che la mente dietro ogni progetto di Wilson, solista, in duo o no che sia, sia quella di Wilson stesso, è ormai noto. Il talento di Hemel Hempstead è andato sempre avanti per la sua strada (alla faccia di chiunque lo etichettasse come un ‘copione di altri’), portando in musica le sue memorie, le sue emozioni, il suo background, le sue ispirazioni, i suoi fantasmi interiori. E, sia per quanto riguarda i Porcupine Tree, sia per i progetti paralleli al di fuori del suo gruppo più famoso, il main-man ha sempre necessitato di un po’ di tempo per trovare la quadra, la forma dove tutta la sua arte si realizza, scivola come un ruscello che esplora ogni pertugio nel suolo, schizza dal cuore alla mente, cattura e rapisce le visioni, spaventa ed emoziona i sensi.
È un processo avvenuto con i Porcupine Tree, che hanno inanellato un capolavoro dietro l’altro da “Stupid Dream” fino al disco di fine fine carriera “The Incident”, così come è successo con i dischi solisti a nome Steven Wilson da “The Raven That Refused to Sing (And Other Stories)” del 2013 a “The Future Bites”. Tutto quello che è avvenuto prima di questi intervalli, è sempre stata musica in costante evoluzione che ha diviso spesso critica e fan.
Non entreremo nei dettagli discografici del passato, ma possiamo affermare che quello che si impara dal buon Wilson è che risulta fortemente orientato alla ricerca nelle fasi iniziali di un progetto. Esplora, sperimenta e trova una forma a metà percorso e vola nel cosmo con idee pazzesche e geniali in fase di marcia. È sempre stato un multiforme-sperimentale, prima ancora che esser uno che produce per vendere. “Closure/Continuation” potrebbe non far eccezione a questa regola anche se sarà solo il proseguimento dei Porcupine Tree a conferma o smentire questa ipotesi.

La premessa introduce quindi il nuovo arrivato; “Closure/Continuation” è stato realizzato in formazione a tre: Richard Barbieri alla tastiera e sintetizzatore, Gavin Harrison alla batteria e percussioni e, come già anticipato, Steven Wilson alla voce e chitarra, a cui si aggiunge il contributo al basso e le solite ‘puntatine’ alle tastiere/pianoforte, finalizzate a realizzare quel parco arrangiamenti che sta dietro questi pezzi e che, da sempre, è lo strumento con cui la band fornisce la gamma di chiaro scuri così caratterista del loro sound.
“Closure/Continuation” è un titolo azzeccato. Chiude definitivamente col passato, ma paradossalmente dà vita alla continuazione del progetto ovvero risulta evidente che la sua mente continua nella percorso artistico che alimenta la fiamma del suo genio. Perché chiude col passato? Perché il mood cambia. Ci eravamo congedati dal quartetto con una musica emozionante, malinconica e nostalgica, elegante e raffinata, sebbene tragica nei contenuti. “The Incident” del 2009 era il perfetto successore dell’alienante e potente “Fear of a Blank Planet” che già aveva staccato stilisticamente il capolavoro “Deadwing”, uscito due anni prima.
Ora invece il nuovo arrivato è sia psichedelico che nostalgico, nonché scandito da marcati tratti progressive. Via tutte le varie sfumature che legavano le mastodontiche architetture compositive del passato, qui è tutto molto più diretto, siano queste le parti distese che fanno godere per intensità, siano quelle più strutturate che centrifugano l’ascolto. Il trio gioca con i brani e se ne determina una musica di grande impatto sonoro ed emotivo, istante per istante, lasciando poco spazio all’introspezione. È in sostanza un disco che lascia senza fiato tanto arriva diretto. “Closure/Continuation” ha quindi grande personalità, quasi a voler dimostrare di non essere un invitato di sola presenza che arriva un po’ tardi rispetto il ruolino di marcia, ma che è all’altezza di sedere al tavolo coi mostri sacri del passato senza per questo venir tacciato d’esser una mera soluzione commerciale o di revival nei confronti dei nostalgici.

La cosa interessante è che il benvenuto all’ascoltatore lo dà la canzone meno rappresentativa del disco ovvero ‘Harridan’. Il pezzo sembra uscito direttamente da qualche B-side della produzione solista più ‘crudamente progressive’ di Wilson, se non fosse per il mastodontico e raffinato lavoro alle pelli di Harrison che riporta il mood al tipico sound ‘Porcupintreeiano‘. Il resto del disco è invece il vero anello di collegamento che dimostra come il tutto sia ‘vero e sincero’. Si sentono davvero i Porcupine Tree, non ci sono inganni. Non ci troverete nulla di simile nella loro discografia pur riconoscendoli all’istante (forse ad eccezione, come detto, del brano di apertura…). I brani sono emozionanti grazie alla delicatezza degli arrangiamenti, alle atmosfere pennellate con maestria da parte di Barbieri e la delicatezza del songwriting di Wilson. Il terzetto apre panorami sognanti, definiti nei minimi dettagli, riflesso della mastodontica abilità tecnico-compositiva della band e li alterna a momenti davvero articolati, a tratti disorientanti e potenti in cui è possibile cogliere la grande abilità esecutiva dei tre. Coglierete inoltre un sacco di tragicità in alcuni passaggi, così come vi lascerete andare alle tipiche atmosfere evocanti giornate ventose al tramonto britannico, dove è possibile cogliere quella delicata, ma decisa tonalità così ispiratrice che solo la terra di Albione garantisce alla musica.
È comprensibile come artisti di questo calibro siano in costante continuità con il loro essere. È davvero un bel disco targato Porcupine Tree, senza retro pensieri. Ve lo garantisco.

Poco da dire a livello di suoni: eccellenza totale! Puliti, bilanciati, brillanti! Non molto bella, ma qui entra in gioco il gusto personale, la copertina. Quel quadratone bianco stampato bello nel centro di una immagine molto naturale ricca di chiaro scuri è bel un pugno nell’occhio, così come il retro vinile, un po’ incoerente con la front cover… mah, probabilmente non ho capito io il significato.

Concludendo, sorge una domanda provocatoria: si chiude la carriera solista di Wilson per ridare vita ai Porcupine Tree? È una domanda assurda lo so, essendo sempre e solo Wilson a ‘creare’ ci si domanda cosa possa mai cambiare… ma, pur essendo sempre una la mente a dirigere la baracca, è interessante constatare fin dalle prime battute che, cambiando i compagni in corsa, cambia il risultato a certificazione della grande sinergia e fusione di arte che Wilson assieme a questi altri due fenomeni riesce a determinare in sala prove.
Proviamo a dare una risposta? Difficile darla ovviamente; la domanda vuole essere per voi solo la condivisione di un semplice pensiero o, se volete, un momento più di riflessione che di valutazione. Una cosa è certa: il mondo è davvero fortunato ad avere quella persona in quella sala prove in Inghilterra, coi i suoi rinati Porcupine Tree, perché fin da ora hanno regalato nuovamente emozioni, bellezza, cuore e magia. God save the Porcupine Tree…

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