Recensione: Colder Than Heaven

Di Stefano Ricetti - 24 Febbraio 2021 - 5:00
Colder Than Heaven
Band: Gengis Khan
Etichetta: Steel Shark Records
Genere: Heavy 
Anno: 2021
Nazione:
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74

Il processo di globalizzazione, con i suoi milioni di tentacoli, fra le varie nefandezze che ci hanno peggiorato la vita a ogni livello ha senza dubbio accelerato quel perverso esercizio del tutto e subito, che poi il giorno dopo è già vecchio.

Ma vi è sempre un ma, fortunatamente, uno zoccolo duro che resiste, o quantomeno fa di tutto per farlo, anche in ambito musicale. Finché esisteranno band come i Gengis Khan non sarà necessario scordarsi il passato perché lo richiedono le viscide regole mercato.

I bolognesi, attivi dal 2012 e sino a fine 2020 con in bacheca un full length e un Ep, poggiano sull’accoppiata di ferro Frank Leone (Basso, Voce, qui sua intervista)/Mike Petrone (Chitarra), unici membri originali, ai quali si affiancano, nella line-up 2021, Neil Grotti (Chitarra) e Giannantonio Lassi (Batteria).

Colder Than Heaven, oggetto della recensione, è il loro secondo album e marca un netto ed evidente salto di qualità nei confronti delle due uscite precedenti. Gengis Khan Was a Rocker, del 2013 non rendeva assolutamente giustizia ai bolognesi, mentre l’Ep omonimo del 2019 segnava un passo avanti ma era ancora troppo poco per poter competere ad armi pari con altri gruppi coevi.

In occasione di questo disco contenuto all’interno di una confezione digipak a due ante bella massiccia e dalla copertina suggestiva, i Gengis Khan si sono superati. Sia in termini di songwriting che di “botta” alle casse, finalmente degna, figlia di una produzione all’altezza delle aspettative.

A partire da “No Surrender” Colder Than Heaven vomita heavy fucking metal tradizionale e tradizionalista per 35 minuti scarsi fino al termine delle ostilità, segnate da “War In The Fields”, la traccia numero sette, barbarica e diretta discendente di Manowar e Heavy Load.

I Gengis Khan sono il risultato di un incrocio bastardo fra i portoghesi Ironsword e i tedeschi Thundersteel, con qua è là qualche spruzzata di Judas Priest, Exciter e Accept. Questa, in sintesi la miscela emanata dalla premiata ditta Leone & Petrone and Co. L’ugola di Frank è speculare a quella rabbiosa del lusitano Tann e il resto del quartetto non si fa certo pregare nel mettere su strada l’artiglieria pesante. Fra le cannonate siderurgiche meglio riuscite del lotto si registrano l’arrembante e acceptiana title track (ma attenzione anche alle scapocciate a la Hammerfall su He’s The King), mentre “Taken By Force” incarna un inno metallico in piena regola nonché segna l’highlight del disco.

Colder Than Heaven non rimescola le sorti della musica dura, tutt’altro, semplicemente si rivela come un brillante affresco di come deve e dovrebbe suonare l’HM classico nel 2021. Senza se e senza ma. Nulla di nuovo sul fronte occidentale, ma un qualcosa di fatto e concepito bene, col cuore e la giusta attitudine, figlia di una fede incrollabile. Finché esisteranno defender come i Gengis Khan l’Acciaio in your fuckin’ face non andrà mai in pensione, possiamo fare sonni tranquilli.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

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