Recensione: Cosmos Comedenti

Di Stefano Santamaria - 12 Gennaio 2018 - 0:00
Cosmos Comedenti
Band: Antiversum
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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72

Primo capitolo discografico per gli svizzeri Antiversum, realtà musicale che attinge da tonalità estremamente cupe e, per certi aspetti, lisergiche. La base da cui partire per comprendere meglio il lavoro è certamente l’attitudine black / death del progetto, unitamente a delle atmosfere decisamente apocalittiche che ci fanno piombare nel doom più torbido.

Se è vero che il disco ha proprie cadenze della matrice appena citata, è altrettanto chiaro che le ambientazioni ricadano nella nera fiamma e in un death metal dall’insano sapore di morte. Suoni continui, fruscio di strumenti che ci porta in una dimensione dall’eco angosciante. 

Parallelismi possibili sono con gli Incantation, Cruciamentum e Dead Congregation, tipologie di suoni e realtà underground che vanno oltre certi estremismi, puntando su atmosfere inquietanti. Nessun tecnicismo, melodie che come sibili bordano di color oro questo quadro dalle tinte fosche. Immagini che si delineano parzialmente, pennellata che pone l’accento sulla consistenza delle proprie emozioni, più che sul dettaglio. 

Percepiamo così gesti da semplici sfumature, particolarità che la nostra fantasia può accentuare o disperdere in totale libertà. Quattro brani, per una durata di 38 minuti scarsi, sviluppi lenti in cui il peso dell’angoscia sublima in una poetica malinconia. 

Full-length che farà la gioia degli amanti del genere, il cui unico neo è il totale asservimento a certi schemi. Il cruccio di un lavoro di questo tipo è che a latitare è quell’idea, quella scintilla che dia il là ad un fuoco che arda luce propria. Non abbiamo notizie sull’identità dei musicisti della band, se non la loro provenienza: la Svizzera. 

Uno split album del 2017 ed una demo, datata 2015, fanno parte del passato di una realtà enigmatica. Auspichiamo di sentire ancora gli Antiversum, magari con un po’ di coraggio in più, germe che possa crescere e svilupparsi di vita propria, senza così tanti riflessi di altre realtà, tra l’altro “underground”.

 

Stefano Thiess Santamaria

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