Recensione: Crossover

Di Nicola Furlan - 20 Giugno 2022 - 6:04
Crossover
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Cosa hanno in comune, indipendentemente dalla corrente musicale da cui sono stati partoriti a livello di ispirazione, dischi quali: “Master of Puppets” dei Metallica, “Scum” dei Napalm Death, “Images and Words” dei Dream Theater, “Human” dei Death, “De Mysteriis Dom Sathanas” dei Mayhem, “Bergtatt” degli Ulver o “Appetite for Destruction” dei Guns N’ Roses? Ok, la metà di voi avrà già pensato che sono ubriaco o strafatto, ma ho volutamente pescato capolavori a caso per introdurre un concetto: esistono dischi che, nel corso della Storia della musica, hanno determinato un cambiamento del corso delle cose nonché rigenerato entusiasmi e modi di comporre in chi è venuto successivamente. Chi ha fissato i canoni del thrash metal, chi ha iniettato sul mercato il grindcore, chi ha reso schizoide il black metal… di esempi ce ne sono infiniti. Possiamo tranquillamente affermare che “Crossover” dei D.R.I. entra di diritto in questo tipo di ragionamento in quanto può essere di fatto considerato un vero e proprio capolavoro, nonché un precursore di un nuovo modo di intendere l’interazione tra thrash metal e l’hardcore, ma non solo. Ma veniamo al disco in questione.

“Crossover” esce nel 1987, anno che vedeva sul mercato discografico planetario album che avevano già introdotto alcune variazioni sul tema del thrash metal. Si pensi ad esempio al capolavoro “Convicted” dei Cryptic Slaughter (per la predominante componente hardcore), al pressoché contemporaneo “Join the Army” dei Suicidal Tendencies (uno dei primi esempi di riuscitissimo thrash-core), a “Game Over” dei newyorkesi Nuclear Assault (altro album di devastante thrash-core) o al leggendario capolavoro ‘sperimentale’ “Speak English or Die” degli S.O.D. (hardcore da strada che introduce elementi che vanno dal grindcore al mosh). Queste band avevano già fuso con ottimi risultati più generi fra loro, manipolandoli con idee ed elevati gradi di libertà creativa in controtendenza a tantissime altre band, in particolare quelle del suolo statunitense, che invece avevano preso a modello quanto concepito dai Metallica di “Master of Puppets” album che, penso tutti sappiano, ha fissato gli stilemi di un certo modo di scrivere thrash-metal.

Qui inizia il tutto:
You fucked me over
You did me wrong
You know why
I wrote this song

“Crossover” è un sintesi totale di ispirazioni e attitudine corroborata da testi ‘sentiti’ dal punto di vista emotivo ed incentrati su tematiche sensibili, tanto al tempo, quanto oggigiorno, quali la situazione dei senzatetto nelle strade d’America, la politica corrotta, la violenza della Legge, la droga, la religione e la voglia di libertà, da conquistare con azioni ribelli. Il chitarrista e mente del gruppo Spike Cassidy, assieme al bassista Josh Pappé, al cantante Kurt Brecht e al batterista Felix Griffin, dà vita a dodici brani devastanti, uno più dell’altro, in un crescendo di dinamica da far ammutolire chiunque e con un equilibrio di generi proposti di una perfezione assoluta. I D.R.I. migliorano quindi qui le stupende idee dei loro colleghi precedentemente citati, le integrano e le ‘incollano’ senza soluzione di continuità forgiando di fatto un nuovo incandescente genere: il crossover. Guarda caso, proprio il titolo del loro disco…
I pezzi contengono il meglio che fino a quel momento avevano sintetizzato correnti musicali come il thrash, l’hardcore e il punk da strada californiana. Il solo manifesto piazzato in apertura di disco, ‘The Five Year Plan’, rende l’idea di quello che da lì ai quaranta minuti successivi si andrà ad ascoltare: un concentrato di ritmiche perfette e coinvolgenti che si alternano tra sfuriate e rallentamenti groove, riff assassini e puntellate anarco-punk di un basso (Josh Pappé R.I.P.) sempre pronto ad enfatizzare la sezione ritmica con piglio e personalità. Qui è tutto azzeccato: tempi, songwriting, copertina, tematiche, suoni e riff. Tutto! I quattro passano dal thrash metal (con un riffing di pregiatissima fattura) al tiro devastante dell’hardcore in pieno stile East Coast fino ad incastonare nelle composizioni elementi punk di distinta personalità. Possiamo praticamente affermare che la maggior parte delle band thrash-core contemporanee ha qualcosa di “Crossover” nelle proprie release. Infine, menzione d’onore, Kurt Brecht al microfono è favoloso: espressivo, incazzato e ispirato.
Tanto per sondare ogni elemento di valutazione, conferma della qualità di “Crossover” arriva anche dal paragone che si può fare, col senno di poi, con altri dischi della loro discografia ovvero con “4 of a Kind”, semi capolavoro della band uscito nel 1988 e con “Thrash Zone” (1989), altra validissima uscita: nessuno di questi due gioiellini riuscirà mai ad eguagliare il picco di due anni prima!

Pure i suoni sono perfetti: grattano i timpani, sono caustici, ma non perdono un briciolo di potenza, ingrediente di cui questo album è permeato dal primo all’ultimo secondo. E verrebbe qui da dire: ‘grazie al ca**o, quando alla consolle hai gente degli Stagg Street Studio’! Quindi? La band ha azzeccato anche qui la scelta nell’affidarsi ad uno studio che nel tempo è praticamente diventato una leggenda, non solo per chi ha fatto del metal il proprio mestiere!

Ora non vi resta che ascoltare “Crossover”, goder dell’attitudine pura della band e far vostra la magia di questi seminali ed immortali brani… e anche respirare un bel po’ di Storia della musica di quel periodo di grande cambiamento. Questo è ciò che vi resterà: dischi come “Crossover” entrano nella Storia, la ispirano e le garantiscono respiro affinché le nuove generazioni possano continuare ad orientare la Musica con qualità, passione e ispirazione. Osare e vincere è la vittoria più bella che si possa assaporare perché il suo gusto dura in eterno. Buon ascolto.

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