Recensione: + där skogen sjunger under evighetens granar +

Di Gianluca Fontanesi - 30 Maggio 2025 - 0:19
+ där skogen sjunger under evighetens granar +
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Sono poche, pochissime le certezze nella vita di un individuo; una di queste però era facilmente prevedibile, cioè l’arrivo del thallismo alla sua forma quasi definitiva. Quasi, perchè coi Vildhjarta in circolazione non si può mai sapere.

Il nuovo album della band svedese, terzo in vent’anni di attività, è una prova di altissimo livello che, alla fine di questo 2025, si giocherà sicuramente il titolo di miglior disco in assoluto con ben pochi rivali. + där skogen sjunger under evighetens granar + (Google traduttore dice “+ dove la foresta canta sotto gli abeti eterni +”) è un’opera eccellente, rigorosamente in svedese, che solo i Vildhjarta avrebbero potuto scrivere e concepire. Per chi non li conoscesse, i nostri non sono altro cha una deriva dei Meshuggah, ma se pensate che Haake e soci siano complessi, credeteci, non avete ancora sentito nulla. I Vildhjarta si mettono in bocca il djent, lo masticano e lo sputano fuori completamente scomposto, denso di storture e con una tecnica strumentale allucinante, andando a sconfinare nel progressive metal più fantasioso e bislacco. La loro musica viene anche descritta con una parola ben precisa: Thall.

Il thallismo, quindi, torna sul mercato più potente che mai, ma con delle differenze importanti, che alla lunga arrivano a fare la differenza. Il precedente lavoro, Måsstaden under vatten, era più oscuro e opulento e finiva un po’ per accartocciarsi su se stesso, complice anche una durata eccessiva e un songwriting talmente oppressivo da arrivare a sfinire l’ascoltatore.  + där skogen sjunger under evighetens granar + mantiene sì le coordinate stilistiche della band ma inizia a dare più punti di riferimento soprattutto per quel che riguarda le chitarre, in quest’opera più melodiche e di più ampio respiro. La scelta funziona e, nonostante rimangano comunque una cattiveria e una potenza di suono incredibili, i Vildhjarta arrivano a trovare la quadra assieme ai momenti più progressivi.

Il 90% delle linee vocali sono come sempre in growl ma non mancano le clean vocals, ben dosate e in netto miglioramento e il disco ha il grande pregio di offrire almeno un momento per brano in grado di lasciare a bocca aperta chi ascolta. La ricerca dei suoni e il lavoro fatto sulle chitarre è unico e maniacale; il tutto poi viene unito a una sezione ritmica spaventosa e in grado di offrire minuti interi di battute e ritmiche sempre diverse. Questa cosa nel disco precedente era un po’ un problema, qui invece è un valore aggiunto e, col passare degli ascolti, ci si trova sempre meno spaesati.

I Vildhjarta non regalano comunque nulla e non sono un ascolto facile per nessuno, anzi, nel panorama estremo sono con buone probabilità una delle proposte più estreme in assoluto perchè esagerati in tutto. Se non lo fossero, però, sarebbero un’altra band e alla fine è giusto così. Prendere o lasciare. La musica degli svedesi è in grado di soddisfare un po’ tutti, dai palati più fini ai più accaniti nerd dello strumento, dagli amanti dei Meshuggah a quelli della musica più progressiva e a 360 gradi. I Vildhjarta sono il trionfo delle nicchie, gli antieroi che non conoscete ma che state cercando e di cui avete bisogno. La perfetta antitesi dei perdenti di successo, ovvero vincenti di non successo in compagnia di gente come Spiral Architect, Twisted Into Form, Pavor e il club perduto della dissonanza al completo. Gente troppo brava per poter avere successo e futuro. Il thallismo però ancora vive; convertitevi e tenetene alta la fiamma, non ve ne pentirete.

 

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Band: Vildhjarta
Genere:
Anno: 2011
75