Recensione: Darkness Unbound
Quando la ‘scuola svedese’ è questa, non ce n’è per nessuno.
Il death, difatti, sia quando affronta la melodia sia quando cerca le sue stesse radici, trova nel Paese scandinavo un campo di semina e raccolta che non ha quasi pari, nel Mondo.
I Demonical fanno death metal. Semplicemente death metal, senza altre aggiunte o bizzarre sofisticazioni. Death metal che forgiano in maniera egregia, andando diritto al centro dell’obiettivo. Evitando, quindi, di perdersi in tanto inutili quanto sterili giri di parole: il death metal è questo, e questo deve rimanere.
Tant’è, e non è un caso, che “Darkness Unbound” sia già il quarto full-length di una carriera cominciata nel 2006 e che annovera, oltre al predetto, altri tre album (“Servants Of The Unlight”, 2007; “Hellsworn”, 2009; “Death Infernal”, 2011), oltre a un demo (“Bloodspell Divine”, 2006) e a due split (“Demonical / Absu”, 2007; “Demonical vs. Paganizer”, 2010).
Avendo fissato l’attenzione sull’attitudine fieramente ortodossa e sulla nazionalità, vien da sé che i Demonical possano annoverarsi fra gli ensemble che hanno fatto dei defunti, leggendari Dismember la propria ragione di vita. La classe dei Nostri non è roba da poco e quindi è bene fugare ogni dubbio in merito: “Darkness Unbound” non è il successore di “Dismember” (2008), canto del cigno dell’ensemble di Stoccolma. Al contrario i Demonical mostrano, nelle dieci tracce dell’album (più le due bonus-track presenti nella limitata edizione ‘digi-CD’), una personalità inossidabile che non dà adito ad alcuna incertezza in merito alla direzione giusta da seguire: death metal, death metal e ancora death metal! Death metal pregno sino al midollo di tutte le caratteristiche di base che deve avere per essere considerato ciò, tuttavia ricco – pure – d’inserti a volte melodici (“King Of All”), a volte oscuri e tenebrosi (“The Great Praise”).
Del resto, il tremendo suono marcio e putrefatto delle chitarre non lascia scampo: pur avendo il suono compresso e tirato, i riff elaborati dalla coppia Johan Haglund / Martin Gustavsson possiedono quel retrogusto di stantio tipico del death e del death soltanto (“The Order”); e non, per esempio, del thrash. Con che, conferendo al sound del platter una sorta di ‘perfezione’ stilistica nel rifermineto al death da… enciclopedia. Nondimeno, il growling professionale di Sverker Widgren, sebbene assolutamente scolastico, è quello che ci vuole per interpretare i morbosi testi delle song; facendo il paio, in tema di coerenza stilistica, con i cupi, temporaleschi rimbombi emessi dal basso di Martin Schulman. Il poderoso drumming di Ämir Batar, inoltre, regala al sound un tocco di modernità per via di furibondi blast-beats al fulmicotone (“The Healing Control”), che allineano il sound medesimo al trend del moderno metal estremo. La potenza devastante dei Demonical trova compimento, così, in brani dall’impatto annichilente come “Hellfire Empire”, connubio fra sensazioni vintage e rigurgiti del momento. Le chitarre spingono continuamente alla massima velocità, regalando al combo di Avesta una quantità di energia enorme, una spinta senza fine; nel rispetto, sempre, di quel tono assolutamente caratteristico dello swedish death metal a là Dismember (“Deathcrown”).
Da “Darkness Unbound” a “The Great Praise”, insomma, non ci sono soluzioni di discontinuità in un sound adulto, ricco di mestiere, pieno e imponente in ogni situazione, in ogni istante. Non ci sono cali di tensione, cioè, ma neppure picchi di elevata genialità. In fondo, lo stile così ben tratteggiato dai Demonical non ammette molte digressioni dal tema principale. Anzi. Malgrado tale endemica rigidità, questo occorre sottolinearlo, essi sono riusciti comunque a dare un’impronta personale al proprio lavoro. Un lavoro realizzato in ogni dettaglio con cura e passione, che aggiunge in pieno 2013 un ulteriore episodio alla grandissima epopea dello swedish death metal nata ormai più di vent’anni fa.
Daniele “dani66” D’Adamo
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