Recensione: Dead

Di Matteo Bovio - 15 Dicembre 2001 - 0:00
Dead
Band: Obituary
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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70

Quando si parla di Obituary è inutile negare che si sta parlando di un pezzo della storia del Death metal. Molti dei gruppi di oggi avrebbero un punto di riferimento in meno se non ci fossero stati loro. Questo live è quindi un giusto tributo ad un gruppo che, purtroppo, oggi non c’è più.

Lo spirito della band statunitense è qui pienamente rispecchiato: copertina e titolo (è un live intitolato “Dead”…) concordano pienamente con il loro non prendersi mai troppo sul serio. Per quanto concerne la proposta musicale vi posso assicurare che non vi deluderanno: se siete dei loro fan, vi conviene assicurarvi subito una copia da aggiungere alla vostra discografia. Lo stesso si può dire se siete amanti in generale del Death metal classico.
Le tappe principali della loro storia sono ripercorse tutte, almeno fino a “Back From The Dead“. E a ogni ascolto non mi resta che constatare come questi simpatici ragazzi siano rimasti sempre incorruttibilmente uguali a sè stessi durante la loro carriera musicale, pur non stancando mai chi li adora.

Personalmente sono impazzito nell’ascoltare da questo live “Threatening Skies“, “Cause Of Death“, “Slowly We Rot” ma soprattutto “Platonic Disease“. In queste tracce emerge totalmente la potenza e l’attitudine distruttrice della band.
Significativo poi che la chiusura sia affidata alla title-track del loro primo lavoro. Dal vivo il gruppo denota una incredibile professionalità. Le chitarre sono impeccabili, potenti e precise; la voce di John è perfetta, anche se non particolarmente ricercata; la sezione ritmica è a dir poco spaventosa. Donald Tardy infatti dimostra di saper suonare veloce senza concedersi errori e seppure di solito tenda a rimanere minimale nell’esecuzione dei pezzi, si lascia andare in “I’m In Pain” ad un breve ma significativo assolo. Qualcuno avrà da obiettare che il suono di questi 5 pazzi è monotono e che non sanno rinnovarsi: bè, non date retta a tali critiche perchè, seppur fondate, non intaccano minimamente il significato della musica degli Obituary. Insomma, siamo davanti a un gruppo che ha fondato un genere che nella sua accezione più pura non è nè progressivo nè ricercato all’eccesso: chiedere agli Obituary di sconfessare questa tradizione è un paradosso tanto quanto lo sarebbe chiedere ai Dark Funeral di scrivere un testo cristiano.

Come al solito i nomi dei grandi sono destinati a rimanere tali. Deathstears della nuova generazione, inchinatevi davanti ai miti e imparate…
Matteo Bovio

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