Recensione: Dead End

Di Marco Tripodi - 15 Gennaio 2017 - 8:00
Dead End
Band: Grinder
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 1999
Nazione:
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73

Prosegue la marcia dei Grinder dopo l’esordio nell’88 con “Dawn For The Living“. Giusto un anno per assemblare nuovo materiale e mantenere alto il livello dello scontro. Se dagli States, e più precisamente dalla Bay Area di San Francisco, arrivano cannonate distruttive da quelli che, album dopo album, si stanno costruendo lo status di numi tutelari del genere, di qua dall’Atlantico è la Germania che si incarica di rispondere colpo su colpo. I Grinder non sono tra i trooper stellati d’assalto, in quel ruolo si impegnano egregiamente Sodom, Destruction e Kreator, ma nelle retrovie il fermento è tanto.

Dawn For The Living” ha fatto già capire di che pasta sono fatti i macinini di Francoforte ed esattamente da lì riparte “Dead End“. La produzione ridefinisce il sound della band. L’aggressione non viene meno ma il tutto sembra più focalizzato, più compatto, meno selvaggiamente allo stato brado. Il riffing è secco e serrato, il basso ha un percorso tutto suo, forse non troppo amalgamato con il resto degli strumenti, ma per fortuna le composizioni della band convincono e ci si dimentica di questa stonatura. Anzi, complessivamente il songwriting è sicuramente più maturo e migliore del già brillante debutto. I riferimenti dei Grinder sembrano più americani che tedeschi, pure questa un’impressiona già avvertita in occasione del disco precedente.

La formazione è rimasta salda e compatta, marcia a tappe forzate, del resto il momentum del thrash metal è adesso, bisogna battere il ferro finché è caldo. Le dinamiche del music business però sono insondabili e misteriose e per motivi criptici il tal gruppo ce la fa mentre altri rimangono confinati tra gli ascolti di nicchia di un pubblico di nicchia. I Grinder non faranno mai il grande salto. Intendiamoci, neppure hanno mai avuto il potenziale dei (vecchi) Testament, Anthrax, Exodus, Megadeth, ma qualche soddisfazione in più avrebbero potuto spuntarla, l’avrebbero meritata. Se la giocavano con i loro pari grado Realm, Gammacide, D.A.M., Mortal Sin, Razor, Slammer, Viking, etc., vincendo a mani basse per altro.

La ristampa Divebomb Records mette assieme ben 9 bonus track, un’enormità, tante quante le tracce della scaletta regolare, oltre al consueto libretto straripante di info e materiale d’archivio. Ed anche in questo caso, come per “Dawn For The Living“, si tratta di un album fuori stampa e fuori catalogo da eoni, dunque l’occasione è ghiotta per riappropiarsene. Nel 1991 arriverà “Nothing in Sacred“, ultimo lavoro a marchio Grinder, che si trasformeranno poi nei Capricorn per pubblicare due album nel ’93 e nel ’95.

Marco Tripodi

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