Recensione: Death Came Through A Phantom Ship

Di Daniele D'Adamo - 12 Giugno 2010 - 0:00
Death Came Through A Phantom Ship
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Genere:
Anno: 2010
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59

Se per caso avevate ancora dei dubbi sulle possibilità orchestrali del symphonic black metal, con “Death Came Through A Phantom Ship” dei Carach Angren ogni perplessità in merito sarà fugata: l’importanza delle soluzioni sinfoniche è tale da rendere le stesse di pari importanza, se non di più, di quella dei singoli strumenti.  

Il costante accompagnamento della classica base chitarra/basso/batteria da parte degli arrangiamenti orchestrali rende assai personale lo stile del combo olandese – e questo è un «pro» – con sgradevoli – purtroppo – «contro», che di seguito saranno analizzati singolarmente.

Il lato positivo risiede nella pressoché infinita possibilità di combinazioni armoniche: l’uso di archi, fiati, pianoforte, tastiere e cori dona a chi compone una serie senza conclusione di «attrezzi da lavoro». Il sound, come si può facilmente immaginare, deborda di melodia sempre e comunque; spinto con continuità verso una maestosità che solo la musica sinfonica può dare. Ogni passaggio è farcito di golosi sapori, ricchi e vari, che si coniugano al black metal di base. Come se ci fossero due generi distinti, saldati assieme nello stesso tempo. So che sto per fare un paragone teoricamente assurdo e anche criticabile: ma i Carach Angren si possono assimilare – per filosofia musicale – ai nostrani Rondò Veneziano! Da un lato la parte «blasfema»: lo scream violento di Seregor, il cui guitarwork non si discosta nemmeno di un millimetro dai tipici canoni del black; la batteria convulsa, spesso votata ai più scellerati blast-beats. Dall’altro, quella «timorata», cioè un’Opera sinfonica a tutti gli effetti, completa sia nella formazione strumentale, sia nella costruzione musicale. Con le linee di basso a far da collante. Un ascolto superficiale potrebbe far passare le medesime inosservate, disperse nella spaventosa quantità di note in gioco. Invece tali linee legano, con forza, dinamismo e gusto, le due anime opposte del platter; regalando, anche, una proposta musicale dalla possente forza visionaria. Esagerata, gigantesca, ricchissima di orpelli e brillanti sfaccettature. Un mood pertanto trionfante, raramente mostrante dei lati bui come quelli che cercano di materializzare la maggior parte dei black-act, in grado di accompagnare efficacemente i viaggi e le gesta del leggendario «Olandese Volante» (Van der Decken), protagonista delle lyrics del disco.

Il lato negativo: la ridondanza. Che seppellisce – ironia della sorte – quello che dovrebbe essere la peculiarità dell’album: il black metal. Scompaiono letteralmente nella matrice musicale il suono delle chitarre, già debole per definizione e, soprattutto, la batteria. La produzione della stessa è troppo fiacca, in particolar modo per la restituzione del rullante. Il risultato, alla fine, è che, paradossalmente, il tutto non è poi così travolgente… Nel turbinio di orpelli e ammennicoli vari, la sovrastruttura sinfonica asfissia inesorabilmente la strumentazione elettrica; senza però evitare che quest’ultima, in ogni caso, nasconda un po’ i passaggi orchestrali. In sintesi non si è trovato il bandolo della matassa riguardante il giusto equilibrio fra le parti.
Di seguito, le canzoni. Se non si può discutere della loro compattezza e continuità stilistica, si può invece discutere del songwriting, che non riesce a generare melodie particolarmente accattivanti. Non mancano fasi gradevoli e avvincenti (“And The Consequence Macabre”, “Van Der Decken’s Triumph”, “The Course Of A Spectral Ship”) ma, nel complesso, prevale una certa piattezza: anche dopo parecchi ascolti i brani non decollano e non sembrano esser così diversi l’una dall’altro, sia nella forma strutturale, sia nelle armonie.

In conclusione un esperimento fallito, a parere di chi vi scrive. Nella confusione generale affiora presto la nemica n. uno della musica: la noia. La carne al fuoco è tanta, anzi troppa, e i Carach Angren non riescono a gestirla nel migliore dei modi. Peccato, perché l’impegno che è stato indiscutibilmente profuso in “Death Came Through A Phantom Ship” fa onore alla band stessa che avrebbe, per questo, meritato una sorte migliore.
 

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Track-list:
1. Electronic Voice Phenomena 0:59
2. The Sighting Is A Portent Of Doom 4:09
3. And The Consequence Macabre 6:45
4. Van der Decken’s Triumph 5:17
5. Bloodstains On The Captain’s Log 5:52
6. Al Betekent Het Mijn Dood 1:08
7. Departure Towards A Nautical Curse 5:39
8. The Course Of A Spectral Ship 5:09
9. The Shining Was A Portent Of Gloom 8:49

Line-up:
Seregor – Vocals & Guitar
Ardek – Keys & Arrangements
Namtar – Drums

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