Recensione: Decennium Ruinae [EP]

Di Daniele D'Adamo - 28 Maggio 2021 - 0:00
Decennium Ruinae [EP]
77

Dieci anni di carriera per gli Unfathomable Ruination. Dieci anni in cui hanno dato alle stampe un demo (“Unfathomable Ruination”, 2010), un EP (“Idiosyncratic Chaos”) e tre full-length (“Misshapen Congenital Entropy”, 2012; “Finitude”, 2016; “Enraged & Unbound, 2019”).

Una promessa magari noioso ma doverosa, poiché serve a inquadrare sia la buona vena compositiva dei Nostri, sia ciò che rappresenta il nuovo EP, “Decennium Ruinae”: il festeggiamento discografico di questi due lustri di feconda attività al fulmicotone.

Quattro le canzoni che lo compongono. Tre sono nuove, inedite. Una, l’opener-track, ‘Suspended in Entropic Dissipation’, è la versione ri-registrata di quella che è stata la closing-track dell’ormai leggendario, omonimo demo di partenza. Un modo per onorare le proprie origini e, anche, perché no, per osservare se stessi al passare degli anni.

Baluardo del brutal death metal britannico, il combo londinese non ha mai tradito le attese in quanto a furia demolitrice, foga assassina, totale aggressività e, ultima ma non ultima, una cospicua dose di tecnica strumentale.

Sin dagli inizi. La ridetta ‘Suspended in Entropic Dissipation’, infatti, è un boccone da gustare con calma per entrare come proiettili lanciati da una fionda nei folli territori dei blast-beats. Nulla di nuovo, si direbbe, ma è solo in queste aree infuocate che si possono raggiungere livelli di pressione sonora insostenibile. E, naturalmente, gli Unfathomable Ruination eseguono il loro compito alla perfezione, rigenerando una song pazzesca in ogni sua parte, ricca di furibondi, disarmonici passaggi ad altissima tensione. Il muro di suono prodotto dall’ipobarico growling di Ben Wright è semplicemente inumano. Esso, unitamente a un coacervo di riff sparati alla massima velocità e pesantezza possibile, e a una sezione ritmica spaventosa nella sua complicata forza propulsoria, conduce chi ascolta – grazie anche a dei massicci stop’n’go (sic!) – alla psicotica perdizione dovuta ai danni dell’hyper-speed.

Detto questo, analizzando gli altri tre brani, non è che la musica cambi poi molto. Anche in questo caso terrificanti breakdown spezzano letteralmente la schiena, significando un’azzeccata derivazione dal più terrificante dei deathcore. Anzi, se proprio si vuole tentare un azzardo, passando e ripassando il dischetto fra le orecchie, parrebbe che il gruppo si sia piano piano evoluto (o involuto, dipende dai gusti) in direzione, proprio, del deathcore. Quello ultra-tecnico, però. Le chitarre, oltre a cucire riff compressi dalla tecnica del palm-muting, tritano l’apparato uditivo con arzigogoli tagliati con la massima precisione dalla lama di un bisturi. Segnale decisivo, questo, per azzardare l’ipotesi più su elaborata.

Comunque sia, deathcore o meno, “Decennium Ruinae“, con la sua durata di soli diciannove minuti, riesce perfettamente nel suo intento: devastare tutto e tutti con un ridottissimo margine di errore. Anzi, senza sbagli: l’annichilazione è assoluta e la distruzione garantita.

Dopo il nulla o, meglio, l’inverno nucleare.

Daniele “dani66” D’Adamo

Ultimi album di Unfathomable Ruination