Recensione: Defening Dissonant Millennium

Di Daniele D'Adamo - 3 Ottobre 2013 - 16:55
Defening Dissonant Millennium
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2013
Nazione:
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77

 

Carriera al fulmicotone, per i modenesi Human Improvement Process: nascita nel 2010, due EP (“S.T.A.R.S.”, “In Crystalline Worlds Beyond”) nel 2011, stabilizzazione della line-up nella classica formazione a cinque (ora composta da Stefano Sebastio alla voce, Fabio Carretti e Francesco Pini alle chitarre, Marcello Tavernari al basso e Alessandro Lugari alla batteria) e, soprattutto, uscita del debut-album sotto Memorial Records nel 2013.

La spiegazione di tale rapidità nel bruciare le tappe è semplice: gli Human Improvement Process fanno buona musica. Un’affermazione tanto stringata quanto omnicomprensiva, comprendente, cioè, tutto quanto occorra per mettere in mano agli appassionati un disco dal taglio professionale, pieno e adulto nella forma artistica.

La tecnica posseduta dai Nostri, per iniziare, è di primo piano, giacché il cyber death metal da essi proposto esige precisione meccanica e ritmica dettata da algoritmi non-umani. Per darne l’idea, un accostamento ai leggendari Fear Factory e ai geniali Blood Stain Child non si mostra certo bislacco né inappropriato, perlomeno se si tratta di focalizzare l’attenzione sulla capacità di elaborare un sound matematico. Anche se, a ben vedere, gli Human Improvement Process ci mettono un pizzico di complessità in più, nella stesura strutturale dei brani.  

Passando per l’eccellente artwork di Federico Musetti, totalmente coerente all’idea musicale, dagli Soundbusters Studios, ove “Defening Dissonant Millennium” è stato registrato da Andrea Cesari, e dai Raptor Studios, base del missaggio/masterizzazione di Matteo Tabacco, il CD, fra l’altro, ha assunto la fisionomia adatta a non sfigurare con le migliori produzioni del genere in ambito internazionale.   

A parte ciò, è nella capacità di scrivere canzoni accattivanti che, a parere di chi scrive, gli emiliani mostrano un talento innato e naturale. Una propensione per la melodia che non si trova tanto facilmente, in giro, specialmente nel campo del metal estremo, ove anche gli stili improntati sull’armoniosità – come per esempio lo swedish death metal – non sempre danno luogo a composizioni degne di nota. Anzi. Invece, Tavernari e i suoi pard, accanto a una forza d’urto dirompente, mettono impilati numerosi chorus, occorre dirlo, uno più coinvolgente dell’altro.  

Non ci vuole molto, allora, per rendersi conto di tutto questo: dopo il raggelante ambient di “Jenova”, la title-track aggredisce senza pietà le orecchie di chi ascolta, macinando gran ritmo e riff esplosivi, duri, quadrati. Ma, soprattutto, tirando fuori dal cilindro un ritornello stupendo, destinato a schiantarsi nel cervello senza che Sebastio o chi per lui debba utilizzare le clean vocals come si usa fare di solito. Anzi, il disperato growling del vocalist contrasta davvero bene la morbidezza delle armonie, regalando momenti di grande coinvolgimento emotivo. Il cyber death esplode in tutto la sua accuratezza digitale con “Erase”, che sa un po’ di metalcore per via delle linee vocali ma che svela, un’altra volta, la feconda vena melodica che scorre negli Human Improvement Process. Una vena che bilancia in abbondanza quel pizzico di dejà-vu che si percepisce nei brani leggermente più dissonanti quali “Empty Eyes” e “The Process”. Refrain come quelli di “Our Last Pieces Of Sanity”, di “Architecture Of A Dying Sun” e “Ethereal”, difatti, sono a un livello artistico tale da indurre giustamente l’attenzione più sulla singola canzone in sé che sullo stile complessivo dell’opera; rendendo veniale un peccato che, altrimenti, sarebbe mortale.          

Davvero bravi, quindi, gli Human Improvement Process. “Defening Dissonant Millennium”, gustato ad alto volume, mette assieme così bene potenza e armonia che vale assolutamente la pena di provarne la saporita consistenza.  

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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