Recensione: Dejection Chrysalis

Di Daniele D'Adamo - 13 Novembre 2025 - 12:00
Dejection Chrysalis
Band: Dysentery
Etichetta: Comatose Music
Genere: Death 
Anno: 2025
Nazione:
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A dieci anni di distanza dal loro terzo album, “Fragments”, tornano in pista i Dysentery con un nuovo pargolo chiamato “Dejection Chrysalis“.

Una decade non è cosa da poco, tuttavia la formazione, a parte ciò che concerne il bassista, è rimasta invariata. Una buona dimostrazione di solidità e coesione, assolutamente necessaria quando si ha a che fare con il brutal death metal nella sua versione slam.

Detto sotto-sotto-genere, se così si può dire, esige infatti delle fondamenta pesanti e allo stesso robuste per sostenere la sovrastruttura musicale, mostruosamente massiccia in tutti le sue propaggini estensive. Il che è proprio il caso del combo statunitense, il quale rappresenta il classico metro-campione per valutare le altre proposte similari. E questo poiché il suo stile è pressoché irreprensibile nell’interpretazione del suddetto slam.

Scott Savaria, quindi, si diletta a masticare, digerire ed espellere le sue linee vocali mediante uno spaventoso growling che, spesso e volentieri, scivola nell’inhale più inverecondo. Ovviamente ciò che esprime è del tutto intelligibile, per cui è inutile tentare di comprendere la natura dei testi che, in ogni caso, si raffermano su racconti fondamentalmente di stampo gore, come peraltro si può (anche) desumere dal nome della band.

Per il resto, si tratta di pestare nel modo più opprimente possibile, triturando quello che malauguratamente viene a contatto con le onde sonore emesse da una strumentazione che non conosce tregua. Tregua dal prendere metaforicamente a schiaffi l’incauto o appassionato ascoltatore, quel che sia. La tecnica in mano al quartetto del Massachusetts è più che buona ma non si tratta di una sorpresa, giacché il brutal esige un dose non comune di perizia, per essere messo giù senza particolari errori.

Peter “Blue” Spinazola, non a caso, manovra la sua chitarra alla perfezione, sebbene si debba discutere soltanto di ritmo. Gli assoli, difatti, sono totalmente assenti, dato che l’unico obiettivo alla base del sound è quello di frantumare le ossa a mo’ di maglio pesante una tonnellata. I riff sono piuttosto semplici, quasi mai veloci, segnatamente per comprimere quanto più possibile con la forza del palm-muting unitamente a un’elevata distorsione.

Il basso di John Cook romba continuamente in sottofondo, cercando di aiutare la sei corde a coprire gli eventuali buchi del riffing, appunto. Il batterista Eric Taranto fa pure lui il suo, rallentando a zero il numero dei battiti sino a sfociare nella foga dei blast-beats. Sfortunatamente il suo rullante pecca del trito e ritrito difetto insito nel brutal death metal, e cioè di somigliare a un fustino di detersivo per lavatrice. Un suono piatto, secco, leggero, che nemmeno dopo poco tempo conduce alla frustrazione.

Inoltre, ed è questo il punto in cui l’act a stelle e strisce mostra la sua debolezza, esso non riesce a cucire un insieme che abbia sì la caratteristica della pesantezza, ma anche della snellezza e della velocità. Certamente pure in questo caso il rimando ai dettami di base dello slam è d’uopo, ma è davvero difficile digerire una selva di accordi iper-lenti accompagnati succitati blast-beats. È un controsenso voluto, questo è chiaro, ma il risultato finale precipita piuttosto velocemente nelle sabbie mobili di un’incrollabile noia.

Inutile tentare di discutere delle song, teoricamente e praticamente assai simili le une alle altre, incapaci di donare ai Nostri un qualcosa in più rispetto alla media. Media bassa, in definitiva. Di gruppi che si accostano ai Dysentery ce ne sono a bizzeffe, ed è molto arduo riconoscere questi ultimi in mezzo ai marosi dello slam/brutal death metal che dir si voglia.

Daniele “dani66” D’Adamo

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