Recensione: Deleted Scenes from the Transition Hospital
La contaminazione tra metal estremo, di colore prevalentemente
“nero” e di provenienza prettamente scandinava, e l’industrial/noise o
addirittura il power noise ha avuto il suo momento d’oro qualche anno fa, con
dischi che uscivano abbastanza regolarmente e lasciavano intravedere
un’evoluzione delle allucinate idee dei progenitori Mysticum. E così, dopo i
vari Diabolicum e Aborym (in realtà forse i più estremi e
sinceri, ed ancora in piena evoluzione) è stata la volta della seconda
generazione, tra cui vanno annoverati anche gli inglesi The Axis of Perdition.
Gruppo che, al di fuori di ogni logica mainstream, ha sterzato dal precedente
EP Physical Illucinations In The Sewer of Xuchilbara (The Red God)
verso una direzione che rappresenta l’estremo portato al parossismo, dove il
noise (= rumore, e non viene detto a caso) più fine a se stesso viene
miscelato alla disperazione del black metal “urbano”, quello le cui
grigie suggestioni fanno parte dell’immaginario estremo a partire dai dischi
degli ultimi Satyricon, Thorns e compagnia amena. Il risultato è Deleted Scenes From The Transition Hospital,
un concept che vede i suoi unici momenti sinceramente chitarristici, ritmici e
quindi propriamente “metal” in singoli episodi incastonati in quello
che è un nerissimo tappeto atmosferico, un soundscape che si propone in modo
deciso come disturbante. Pendulum Prey (Second Incarceration) è uno di
questi momenti: dissonanze chitarristiche di provenienza tipicamente svedese si
fanno largo su uno sfondo costituito da campionamenti, effetti atmosferici ed
ambientali e le urla disperate di Brooke Johnson, abile a dare voce al
paziente (trapassato) di un ospedale psichiatrico in rovina. Brano che alla fine
trova anche lo spazio per un minuto onirico, con una parentesi jazzata che
sembra lasciar trapelare dei ricordi di un’epoca migliore. Semplicemente
splendido, bisogna dirlo, ma bisognerebbe poter leggere i testi completi
dell’album per poterne apprezzare il lato concettuale, un promo purtroppo può
dire davvero poco in questo senso.
Può dire molto in verità anche la sola musica in esso contenuta: basta
spegnere la luce e lasciarsi andare alle immagini suggerite dal duo (coadiuvato
da sessions) di Middlesborough. Difficile restare sereni, difficile anche solo
non sentire a pelle che questa non potrebbe mai essere la colonna sonora di un
film dozzinale, ma solo di un capolavoro alla Cronenberg: dove il linguaggio non
è per forza quello della battuta/risposta, così come qui non è quello di
strofa/chorus. Il magma che compone l’album è infatti inscindibile, impossibile
anche solo estrapolarne una singola traccia capace di vivere di per sé, ed allo
stesso tempo ogni fotogramma sembra doversi incidere indelebilmente nella nostra
immaginazione. Sporco, buio, decadente come solo può esserlo uno dei tanti
rifiuti della nostra civiltà lanciata verso il futuro: ed anche per questo
motivo destinato solo a chi saprà coglierne le emozioni più profonde.
Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli
Tracklist:
1. Deleted Scenes I: In the Hallway of Crawling Filth
2. The Elevator Beneath the Valve
3. Pendulum Prey (Second Incarceration)
4. Isolation Cubicle 312
5. Entangled in Mannequin Limbs
6. This, Then, is Paradise?
7. One Day You Will Understand Why
8. Deleted Scenes II: In the Gauze-Womb of the God Becoming