Recensione: Devoid Of Light

Di Gianluca Fontanesi - 28 Giugno 2016 - 0:01
Devoid Of Light
Band: Uada
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2016
Nazione:
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80

Quanti debutti folgoranti conoscete? Non è qui il caso di tirare fuori paragoni con dischi che hanno fatto la storia, ma gli Uada possono tranquillamente entrare nella categoria. Devoid Of Light è un gran bel colpaccio da parte della tedesca Eisenwald, da sempre molto attenta a scovare talenti di un certo tipo e a produrre grandi album. La bellissima copertina ad opera di  Kris Verwimp, che rimanda alla famosa pietà di Jan Fabre, lascia già presagire di cosa andremo a parlare, cioè black metal, ma nella sua matrice più melodica. Contrariamente al filone francese, alle varie musiche occulte e criptiche che oggi vanno per la maggiore e contrariamente a molte band statunitensi ben più famose, gli Uada puntano più su canzoni dirette e suonate in maniera classica, senza troppi fronzoli o misticismi di sorta.

 

Troppo spesso si travisa il fatto che la bellezza stia anche nella semplicità e, soprattutto, nel sentire ciò che si sta suonando senza programmare più o meno nulla. Questo trasmette Devoid Of Light, e lo fa nel migliore dei modi. E’ un disco che dura il giusto, poco più di 33 minuti, nei quali succede un po’ di tutto e non vi si riesce a segnalare nessun tipo di momento morto o riempitivi.

 

Natus Eclipsim apre l’album rivelandosi un piccolo, grande capolavoro di musica nera e mettendo subito in chiaro la grandissime doti della band di Portland. Parliamo quindi di una sezione ritmica tiratissima, chitarre tipicamente black con varie progressioni di accordi e voce rigorosamente in scream. Ci si accorge molto presto però di quanto sia grande la capacità del gruppo di “dare respiro” ai propri pezzi: i vari intermezzi melodici e ariosi sono uno più bello dell’altro e talvolta sconfinano anche nel progressivo andante lasciando più di una volta l’ascoltatore a bocca aperta. Spesso con tre note raggiungono vette di intensità e picchi emotivi che non riescono a band ben più blasonate che ne suonano centocinquanta, e questo è un grandissimo pregio oltre ad essere una gran bella lezione di stile. Bando alle ciance, non c’è tempo qui per pensare; la titletrack cambia totalmente registro rallentando i tempi almeno in apparenza. La partenza in blast beat trasforma il sound in un black metal cavernoso, marziale e con vocione in growl proveniente dal più profondo degli oltretomba e dal più oscuro dei rituali. Ancora una volta l’alternarsi di pesantezza e melodia va a segno in maniera quasi clamorosa; la parte centrale offre un intensissimo ritorno allo scream e alle chitarre in tremolo che mai male non fanno, mentre il finale cambia ancora registro partendo con un tempo votato al pogo più violento e dal raddoppio di cassa che più micidiale di così non si può. La ripresa dei temi principali conclude il tutto consegnandoci un altro gioiellino.

 

S.N.M. non pensa minimamente a calare d’intensità e spara in faccia armonizzazioni suonate su una sezione ritmica instancabile e che dovrebbe essere il sogno di molti chitarristi. Il riff sul raddoppio di cassa annienta tutto ciò che incontra e la parte strumentale centrale è semplicemente da urlo. Our Pale Departure non fa altro che confermare ciò che abbiamo detto finora rimanendo sugli stessi livelli di songwriting e le stesse coordinate stilistiche; segnaliamo un pre- finale particolarmente arcigno in growl in cui si raggiunge il picco più alto di cattiveria dell’album tutto. La lunga Black Autumn, White Spring conclude la tracklist coi suoi oltre nove minuti di lunghezza, che si rivelano un altro brano ben più che riuscito: dalle chitarre magnifiche della prima strofa agli arpeggi seguenti; dal riuscitissimo ponte all’ancora più riuscito finale nel quale ci si concede anche un assolo di chitarra!

 

Cosa chiedere di più? Nulla. Devoid Of Light è un disco che formalmente non presenta difetti né problematiche di nessun tipo. Se vogliamo essere pignoli, un qualche urlo modello cornacchia in preda a dissenteria lo si sarebbe potuto evitare, ma stiamo davvero cercando il pelo nell’uovo. Ogni amante del black metal dovrebbe ascoltare gli Uada almeno una volta e trarre le proprie conclusioni; probabilmente risultano un pochino troppo ariosi per l’ascoltatore più intransigente e votato al black metal più true, ma siamo certi che anche questo tipo di metallaro qualche soddisfazione in questi cinque brani è in grado di trovarla. Detto questo, ci congediamo rimettendo su un album che finirà sicuramente nella top ten di questo 2016. Imperdibile.

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